I Nobel per la pace affibbiati alla carlona? Colpa dei norvegesi

Caro direttore, mi aiuti Lei. Sono anni che ogni volta che scrive sul nostro Giornale che il Premio Nobel per la pace viene assegnato dall’Accademia di Svezia io disperatamente cerco di contattarlo nei modi più svariati, senza ottenere risultati. Perché non è vero che il Nobel per la pace viene dato dalla Svezia, è invece l’Accademia Reale di Norvegia che lo assegna ogni anno in tutta autonomia, e con i risultati che vediamo... La prego: per la mia pace familiare (sono sposato a una svedese), per il prestigio del nostro Giornale, per la verità, faccia qualcosa.
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Il direttore mi ha passato il suo grido di dolore, caro Monferrà, e come vede m’affretto a renderlo pubblico: non vorrei avere sulla coscienza una guerriglia familiare anche se non capisco come sua moglie, svedese, possa addossare a lei le colpe che invece ricadono su di me. Va bene, d’accordo, occhei: i buontemponi che decidono a chi assegnare il Nobel per la pace non sono svedesi, ma norvegesi. Nominati dal Parlamento - nomina politica, pertanto - in numero di cinque, essi buontemponi compongono il Comitato per il Nobel (norvegese) che a sua volta elegge un capintesta la cui mansione è quella è di stilare la lista dei candidati da successivamente sottoporre ai soci e dalla quale trarre, come il coniglio dal cilindro, il nome del vincitore. Costui, nella sala del municipio di Oslo (Dio mio che squallore se si pensa alla spettacolare Concert Hall di Stoccolma dove un sovrano in marsina e decorazioni consegna i premi relativi alla fisica, chimica, medicina e letteratura) riceverà poi il suo bravo diploma, la medaglia e un assegnuccio di circa un milione di euri, buttali via. Anche se l’Accademia svedese ha non pochi scheletri nell’armadio, avendo assegnato guiderdoni un po’ alla carlona mentre testardamente teneva fuori nomi illustri della letteratura, capisco, caro Monferrà, che sua moglie tenga a mantenere le distanze con i norvegesi addetti al Nobel per la pace. Assegnato a un inveterato bellicista come Yasser Arafat, pace all’anima sua. A un giuggiolone pallonaro come Al Gore. A un rambo come il buon Barack Obama che certo non gliele manda a dire a quei marazzoni dei talebani (anche se la sua è una guerra chic, condotta con l’ausilio dei quasi politicamente corretti aerei-robot, i droni). Però, sarà che Alfred Nobel a Stoccolma nacque, sarà che la locale Accademia delle scienze detiene il quasi monopolio delle nomine, sarà che il colpo d’occhio della Concert Hall fa aggio sui locali del municipio di Oslo, sarà che un Re è pur sempre un Re e Thorbjørn Jagland, il presidente del comitato norvegese, non gli tiene certo testa, ma quando si dice Nobel si dice Svezia. Nel bene come nel male.
Dico tutto questo non per cercare di limitare la mia colpa, caro Monferrà, ma per avere un po’ di indulgenza dai lettori che come lei non me ne fanno passare una liscia dando sempre l’impressione di ritenere mortali certi peccatucci che dir veniali è già troppo. In ogni modo prometto solennemente che d’ora in poi non mancherò di precisare che i Nobel per la pace vengono sfornati in quel di Oslo e non in Isvezia. Ah, la Svezia! Per le generazioni del buon tempo andato qual è la mia, la Svezia era un mito, caro Monferrà. E meta immancabile o comunque sognata di un viaggio di formazione diciamo così culturale.

Il welfare, il design, gli Abba, quella pizza di Ingmar Bergman, Anitona Ekberg, lo smosgarborg (si scrive così?), la festa di Santa Lucia e le ragazze con la coroncina di candele sul capo... Turismo consapevole, si direbbe oggi (be’, sì, certo, c’erano anche le svedesine ad attirarci come il miele le api, ma cosa crede, anche la svedesina era cultura, era dialogo e confronto: tutta roba seria, no?).

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