I nuovi mister miliardo? Più asiatici che americani

Le cifre parlano, talvolta urlano. Basta ascoltarle e scoprire un nuovo mondo. Come ogni anno Forbes ha pubblicato la lista dei multimiliardari e l’attenzione si è concentrata sui primi dieci. Nel 2009 il ricco dei ricchi, ormai lo sanno tutti, è un messicano, il re delle telecomunicazioni Carlos Slim.
Eppure i dati più interessanti sono quelli che riguardano gli altri classificati, perché seguendo il denaro, trovi il potere. E analizzando i loro nomi, le loro storie e, soprattutto, le loro nazionalità, capisci dove sta andando il mondo. E l’indicazione che emerge è inequivocabile: la regione che cresce di più è l’Asia. Anzi, esplode e potrebbe sorpassare l’Europa prima del previsto, forse già l’anno prossimo.
Infatti: nel mondo esistono 1.011 miliardari, di cui 403 negli Stati Uniti (44 in più rispetto al 2008), 248 in Europa (più 52). Bei movimenti, non c’è che dire; che però appaiono marginali esaminando la performance dell’Asia-Pacifico, che un anno fa contava 130 multimilionari, ora 234. L’aumento è dell’80%, confermato e accentuato dalla classifica delle new entry. Su 97 debuttanti, ben 67 provengono da questa regione del mondo. Ed è superfluo precisare che la parte del leone spetta alla Cina.
Il futuro ha gli occhi a mandorla, ed è sempre meno yankee. Nel 2008 i miliardari statunitensi rappresentavano il 45% del totale, nel 2009 appena il 40%. Crescono anche l’America Latina e il Medio Oriente, persino l’Africa e il mondo di chi possiede almeno un miliardo di dollari, diventa sempre più multipolare.
È colpa della crisi se gli Usa crescono meno degli altri? Non esattamente. Nel 2008 il tracollo della Lehman aveva falcidiato i miliardari, riducendoli a 793. Nel 2009 la crisi ha colpito severamente l’economia reale e costretto alla disoccupazione milioni di persone, come sappiamo. Ma in Borsa al grande panico è seguita la grande euforia e siccome quasi tutti i miliardari controllano società azionarie quotate, la loro ricchezza di carta è aumentata. Vertiginosamente.
Presentando la classifica, Steve Forbes ha dichiarato che «questo potrebbe essere il segnale che la recessione mondiale è entrata nella fase finale». Se lo augurano tutti e il peggio è probabilmente passato, ma c’è da chiedersi se la vera lezione sia stata imparata.
Una crisi speculativa provocò il grande crash, un boom di carta - alimentato dal denaro che le banche centrali prestano quasi gratuitamente agli istituti di credito ma anche anche agli speculatori - ha generato lo spettacolare rimbalzo che in parte continua nel 2010.
E questo dimostra che la Borsa continua a viaggiare sospesa nell’aria, senza alcuna relazione con il mondo sottostante. Per giustificare le attuali quotazioni, l’economia planetaria dovrebbe iniziare a correre, mentre continua al più a camminare. La sostenibilità del rally è dubbia, a giudizio degli economisti più saggi, ma intanto i magnati si godono il momento. Il patrimonio medio era di 3,5 miliardi a testa, 500 milioni in più rispetto a dodici mesi prima.
Sei su dieci hanno aumentato il patrimonio, uno più di tutti, con un guadagno, strabiliante, di 18 miliardi, il brasiliano Eike Batista, re delle miniere, le cui società sono quotate al listino di San Paolo, una delle Borse che più è cresciuta l’anno scorso. E non meraviglia nemmeno l’impennata dei miliardari russi, che sono raddoppiati, superando addirittura la Germania, 62 a 53, ancora una volta seguendo l’ottovolante della Borsa di Mosca. Il fatto che la ricchezza tedesca sia industriale, dunque molto più solida di quella russa, è una consolazione parziale per i grandi nomi di Francoforte.
Lo ridistribuzione del potere è confermata da un altro fattore cruciale, quello generazionale. I ricchi con i capelli bianchi possiedono, di solito, conti in banca più copiosi, ma le potenzialità di crescita di un Paese dipendono dai giovani. Fino a pochi anni fa gli Usa costituivano uno straordinario magnete di talenti, oggi molto meno. E comunque nascere negli Usa non rappresenta più un vantaggio decisivo. In ogni angolo del globo spuntano ragazzini miliardari, ancora una volta soprattutto in Cina, come l’industriale Li Zhaohui o la regina dell’immobiliare, Yang Huiyan, entrambi di appena 28 anni.

Hanno grinta, hanno voglia di affermarsi e il loro Paese, contrariamente agli Usa, non è gravato da un debito pubblico pari al 100% del Pil. Più che gli americani i «giovani rampanti» cinesi temono i loro coetanei indiani. La partita, quella vera, è tra di loro.
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