I nuovissimi mostri della commedia italica

A proposito delle intercettazioni poco principesche di questi giorni, l’ultragirotondino Pancho Pardi spiega al Corriere che «sembra un film di Verdone dal quale emerge una società repellente». A proposito della nomina di Cappon alla guida della Rai, Curzio Maltese su Repubblica ironizza sul «devastante squallore offerto dalla classe dirigente nazionale, sempre più simile al cast di un film dei Vanzina». Fossi Verdone o i Vanzina, non saprei se gioire o dolermi delle due citazioni. Si fa presto a dire commedia italiana. Sarà perché coi «nuovissimi mostri», per parafrasare Dino Risi, c’è poco da ridere; a portarli sullo schermo si rischia di apparire moralisti o mozzaorecchi, mancando oggi al nostro cinema la leggerezza di Age & Scarpelli, quel saper rovistare negli italici vizi con cechoviana pietà, per estrapolare dal peggior comportamento sociale il succo di una satira di costume capace di scavare sotto la superficie becera. Quando Vittorio De Sica girò Il boom, magnifico film nel quale Sordi vendeva un occhio a un «cumenda» per garantire alla moglie un adeguato status sociale, nessuno andò a vederlo: troppo amaro, per il pubblico, riconoscersi in quella disperata resa.


Naturalmente, sia Verdone sia i rivalutati Vanzina si sono divertiti a mettere alla berlina spacconerie e meschinità, voglie matte e appetiti sessuali di una certa borghesia italiana, inclusa quella col cuore a sinistra e il portafogli a destra. Ma se il margine tra esercizio del potere e fantasia sceneggiatoria si fa sempre più Sottile, hai voglia a scrivere commedie.

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