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I pentiti dell’Irak vanno all’attacco di Bush

Esplicito invito al ministro della Difesa a dare le dimissioni: «Ha fallito»

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

«Ammutinamento» a tre giorni dalle elezioni. I militari e neoconservatori sparano a zero su Bush. Hanno aperto il fuoco i quattro giornali delle forze armate, l’Army Times, il Navy Times, l’Air Force Times e il Marine Corps Times che pubblicheranno domani un editoriale comune in cui si sollecita Bush a licenziare il ministro della Difesa Donald Rumsfeld, poco dopo che il presidente si è pubblicamente impegnato a non farlo. L’articolo rivela che «comandanti militari in servizio attivo esprimono ora apertamente il loro dissenso sui piani di guerra e su una condizione che mette in pericolo le prospettive di una vittoria». Questa situazione di eccezionale disagio, che «indipendentemente da chi vinca le elezioni di martedì», è senza precedenti ha la sua radice in una verità scomoda: Rumsfeld ha perso la sua credibilità nella leadership militare, fra le truppe, in Congresso e nel popolo americano in generale. È una verità scomoda cui bisogna far fronte al più presto: Donald Rumsfeld se ne deve andare».
Se la prendono invece direttamente con Bush alcuni fra i più noti intellettuali neoconservatori molto ascoltati alla Casa Bianca e in particolare coloro che più hanno spinto il presidente a fare la guerra all’Irak. Richard Perle, fino a poco tempo fa capo dei consiglieri del Pentagono, considerato lo stratega politico dell’attacco a Bagdad, afferma ora in un’intervista a Vanity Fair di essere pentito. «Dissi allora che dovevamo proprio andare in Irak. Se avessi saputo come si sarebbero messe le cose, avrei detto che era meglio stare a casa. Sono state prese delle decisioni sbagliate, non sono state prese quelle giuste, non si è condotta la guerra nel modo giusto, molti hanno commesso errori. Ma alla resa dei conti colui che deve essere ritenuto responsabile è uno solo, ed è il presidente». Di rincalzo ecco David Frum, co-firmatario con Perle del Manifesto dei neoconservatori dal titolo rivelatore: «An End to evil» («Metter fine al Male»), estensore di molti discorsi di Bush, il più noto dei quali è quello sullo stato dell’Unione del gennaio 2003, nell’imminenza cioè della guerra, in cui l’Irak, l’Iran e la Corea del Nord furono messi assieme e presentati come «l’asse del Male». Un discorso che è comunemente considerato il più infelice mai pronunciato dal presidente, anche perché l’impegno in esso contenuto a rovesciare i regimi del Male ha molto probabilmente incitato sia l’Iran sia la Corea del Nord ad affrettare i tempi del riarmo nucleare al fine appunto di fornirsi di uno «scudo» contro la minaccia americana. Frum non si è riferito a questo «dettaglio», ma alla politica estera di Bush in generale, di cui, naturalmente, non possono essere incolpati i consiglieri, ma solo il presidente in persona. «Non giriamo attorno al problema - ha detto Frum -: il fallimento è al centro, comincia con George Bush».
Infine Kenneth Adelman, ex consigliere di Ronald Reagan durante i vertici degli anni Ottanta con Mikhail Gorbaciov, poi membro del «Defense policy board» assieme a Perle e a Rumsfeld e ardente fautore anch’egli dell’intervento in Irak. Fu Adelman in particolare a firmare nel 2002 un articolo comparso sulla Washington Post in cui una guerra per rovesciare il regime di Saddam Hussein fu definita «una passeggiata». Adesso Adelman confessa di avere «sopravvalutato le capacità del team di Bush», che si è rivelato «il più incompetente del secondo dopoguerra. Ciascuno di loro individualmente ha difetti enormi, che sommati sono diventati disastrosi, micidiali. Il responsabile alla fine è naturalmente il presidente, ma il peggiore fra tutti i suoi consiglieri è proprio il vecchio amico Rumsfeld: osservare la sua performance mi devasta. Mi chiedo sempre se è cambiato lui o se siamo stati noi in passato a sbagliarci sul suo conto. Il brutto è che nessuno lo ha mai veramente contestato. Io da lui mi sento personalmente ingannato».
In passato altri esponenti neoconservatori o conservatori avevano preso gradualmente le distanze dall’Amministrazione. Brent Scowcroft, intimo di George Bush Senior, aveva scritto qualche mese fa: «Non capisco più Rumsfeld. Sembra diventato un’altra persona». E anche dei famosi columnist conservatori hanno preso le distanze gradualmente dalla Casa Bianca. Ultimo in ordine di tempo George F.

Will, che ha scritto su Newsweek: «Da molti mesi è diventato ovvio a tutti tranne a chi è accecato dai paraocchi ideologici che l’America sta perdendo una guerra lanciata con un obiettivo chimerico (un arsenale di armi di distruzione di massa che non esisteva) e con un fine illusorio: una democrazia che, ispirando l’emulazione nel Medio Oriente, trasformasse la regione».

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