«I promessi sposi» ci mordono sul collo

Ci fecero una testa così, tanti anni fa, con la storia della Provvidenza come regista occulta dei Promessi sposi. E oggi, ai ragazzini nostri attuali omologhi fanno una testa così con Twilight. Anche lì dentro, tutto sommato, c’è una specie di provvidenza. Con la minuscola, ma all’atto pratico fa lo stesso. In fondo, abbiamo tutti, cinquantenni o diciottenni, avvertito almeno una volta il morso dell’amore... Così, dai Promessi sposi ai Promessi morsi il passo è stato quasi inevitabile, anche perché l’ultimo grido, in fatto di contaminazioni letterarie, è il mash-up sentimental-orrorifico. E se dagli Stati Uniti ci è già pervenuto Orgoglio e pregiudizio e zombie (Nord, 2009), rielaborazione in chiave non-morta dell’opera di Jane Austen cui seguirà a breve un Abramo Lincoln in versione ammazzavampiri, ecco qua la copertina con il vecchio don Lisander, basettoni al vento, che socchiude la bocca dalla quale, ohibò, cola un rivolo di sangue. Ed ecco, nel sottotitolo de I promessi morsi, spuntare l’aggettivo ulteriormente rivelatore: «Storia gotica milanese del secolo XVII».
L’Anonimo Lombardo che ha vergato (per Rizzoli, pagg. 378, euro 16,50) questo polpettone è onesto quando, nella «Nota dell’Autore» in appendice, afferma che «da quando hanno inventato il cinematografo, le storie non si raccontano più al vecchio modo». Ma agli occhi di chi ha appena finito di trangugiare il suo romanzo (magari aiutandosi con qualche sorso di vino generoso), l’ammissione suona come la scoperta dell’acqua calda. Ce n’eravamo accorti, caro Anonimo, che per te Francis Ford Coppola e George Romero, con i loro Dracula di Bram Stoker e La notte dei morti viventi, sono importanti quanto e più del simil-barocco manzoniano assurto a prima pietra miliare della letteratura italiana «unitaria». Ce n’eravamo accorti, ma non te ne facciamo una colpa. Perché, anche il celebre nipote di Cesare Beccaria, dove andò a pescare i «delitti» e le «pene» di cui innerva il suo capolavoro? Negli archivi cartacei e in quelli della memoria, proprio come tu hai pescato i tuoi nelle sequenze da trailer ormai diventate patrimonio dell’immaginario collettivo. E se qualche prof d’italiano un po’ estroso decidesse di proporre agli allievi due o tre ore di lettura parallela degli sposi e dei morsi, beh, sarebbe un buon esempio di lezione interdisciplinare.


Nei Promessi morsi, fra un don Rodrigo vampiro, un Innominato licantropo, una Monaca di Monza strega e le vittime della peste che mettono in pratica i primi due versi dell’Inno di Garibaldi («Si scopron le tombe, si levano i morti/ i martiri nostri son tutti risorti!») il pastiche è completo e sfocia in un grand guignol. Dove Renzo si conferma sì un paesanotto ingenuo, ma la sua Lucia, svestiti i panni della tremebonda campagnola, diventa una dark lady... mordace.

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