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I quattro dissidenti appena scarcerati: «Per il momento non cambierà nulla»

Sabato scorso sono stati fatti uscire di prigione e subito esiliati in Spagna

da Madrid

Nel giro di quattro giorni José Gabriel Ramón Castillo, Omar Pernet Hernández, Alejandro González e Pedro Pablo Álvarez, sono passati dalle prigioni di Cuba all'esilio in Spagna: appena arrivati, hanno saputo che Fidel Castro rinunciava al potere. Una svolta radicale che i quatto dissidenti politici osservano con sconcerto, mescolando felicità, stanchezza e la melanconia di chi si rende conto che, comunque, non potrà tornare a casa.
«Bisognerà attendere ancora tanto perché cambi davvero qualcosa», sbotta Alejandro. «La volontà di cambiamento deve nascere dalla nomenklatura», aggiunge Pedro, giornalista, 60 anni. È il paradosso cubano, solo la dittatura può cambiare la dittatura. «Io lo chiamo il totalitarismo totale: non rimane neanche uno spiraglio di libertà come si intravedeva in altri regimi», spiega Pedro. «Con Raul non cambierà niente, era già al potere e non si è notata nessuna apertura», ricorda amaro.
Omar, Alejandro e Pedro ricevono i giornalisti nell'appartamento assegnato loro dal ministero degli Esteri spagnolo nel centro di Madrid. Sono frastornati, fino a ieri sopravvivevano a stento alle carceri cubane e cercavano qualche informazione leggendo tra le righe il giornale del partito: «Una sola copia di Granma per 108 carcerati», racconta Alejandro. Poi la comunicazione improvvisa: «Potete uscire dal carcere se non toccherete Cuba e ve ne andrete direttamente in Spagna». Esiliati, ricorda Omar.
I quattro detenuti hanno solo il tempo per chiamare le famiglie per farsi portare dei vestiti, come ordinano gli uomini della Seguridad de Estado, e sono trasferiti all'aeroporto dove sabato notte partono per l'Europa. Qualcuno riesce ad avvisare tutta la famiglia, altri no. Alla fine 13 persone salgono con loro sull'aereo. È la prima volta che volano.
«Bisogna avere fede e continuare a lottare per i diritti umani», incita Omar dalla sedia a rotelle sulla quale l'ha costretto una operazione mal riuscita in carcere. Il ricordo va agli altri 55 compagni di dissidenza ancora incarcerati dal 2003, da quando Fidel decise di rinchiudere 75 persone accusandole di cospirare con gli Usa contro Cuba. Ma per arrivare alla loro scarcerazione manca molto, assicurano. Tutti e tre sono d'accordo che la loro liberazione è un segnale di debolezza del governo. «Ci hanno esiliati, non ci hanno dato un indulto», precisa Alejandro. E dagli Esteri confermano che è stata una decisione unilaterale e improvvisa quella dell'Avana, che ha voluto così liberarsi di prigionieri molto malati. Ma almeno altre 300 persone sono tuttora rinchiuse nelle galere cubane per motivi politici.

«Lotteremo da qui perché le cose cambino - è la promessa di Alejandro -: c'è ancora molto da fare».

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