I record delle toghe di Napoli: flop, sprechi e irregolarità

A Napoli Lepore e Woodcock rincorrono le ospiti delle cene di Arcore, ma la procura ha sette record (tutti negativi): procedi­menti pendenti, scarcerazioni di boss per errori, intercettazioni, ar­restati in attesa di giudizio, senten­ze lumaca, richieste di risarcimen­to per ingiusta detenzione ed erro­ri giudiziari

I record delle toghe di Napoli: 
flop, sprechi e irregolarità

Napoli - Una procura di pm asini e fana­tici. Solo due anni fa il procuratore generale di Napoli, Vincenzo Gal­gano, ebbe a definire così i sostitu­ti procuratore guidati da Giovan­domenico Lepore indispettiti per la trattazione garantista dell’affai­re rifiuti-Bertolaso: "Ci sono pm che perseguono interessi perso­nali (...) e ci sono casi in cui la cer­tezza delle proprie idee diventa fa­natismo (...), il fanatismo di alcu­ni p­m può essere strumentalizza­to dall’esterno per lotte politiche, campagne di stampa, trame cui la magistratura dovrebbe rimane­re estranea". In genere si dice che il sistema funziona e poche mele marce rischiano di rovinarlo. Gal­gano, a proposito di certe toghe, sostenne esattamente il contra­rio: "Gli altri (uffici giudiziari, ndr ) hanno cento cavallucci. Noi dieci stalloni di razza, ma novan­ta asini". Se l’ufficio giudiziario più anti­berlusconiano del Paese sia dav­vero un concentrato di cavalli zoppi o di ciucci da mostra, non è dato saperlo. Sul fanatismo di ta­luni pm si potrebbe anche discu­tere, ma sarebbe un problema di poco conto se l’Ufficio funzionas­se a pieno regime. Purtroppo la procura di Napoli, concentrata com’è a inseguire Berlusconi e i berlusconiani campani, procede a rilento, incespicando fra proble­mi d’ordinaria burocrazia, so­vraccarichi di lavoro, discutibili metodologie di lavoro e "selezio­ni" delle ipotesi di reato che sem­brano essere perseguite più per resa giornalistica che di giustizia.

Intercettazioni Fra le accuse che vengono mosse a Woodcock e compagni c’è l’uso­abuso di intercettazioni dal rilie­vo penale non sempre evidente. Quando vennero depositate le in­­tercettazioni sulla P4 un avvoca­to fu costretto a reclinare in avan­ti i sedili posteriori del suo Suv perché nell’immenso portabaga­gli non riusciva a far entrare tutte le trascrizioni delle 70mila inter­cettazioni. Un caso abnorme, ma non proprio infrequente. Come attesta il ministero della Giusti­zia alla voce "aperture di credito per spese di intercettazioni telefo­niche, telematiche e ambienta­li", per 9 mesi di "ascolti" alla pro­cura di Lepore sono arrivati 13 mi­lioni di euro. Un quinto degli in­tercettati d’Italia, pari a 11.900 operazioni (9 per cento in più ri­spetto all’anno precedente), vie­ne beccato al cellulare, a casa, in auto o in ufficio, direttamente dal­la sal­a ascolto nel Centro Direzio­nale napoletano. Quest’incessan­te lavorio di intromissione nella vita altrui, per il primo semestre del 2010, è costato 11 milioni e 600mila euro (fonte Sole24ore ). Per chi non lo avesse ancora capi­t­o Napoli è la procura che intercet­ta di più. Sarà un caso ma un uffi­ciale della Gdf, in palese imbaraz­zo, nella P4 si mosse a compassio­ne chiedendo ai pm di interrom­pere un ascolto ( inutile) a Bisigna­ni perché costava troppo.

Sentenze lumaca Checché ne dica l’iper ottimista presidente della corte d’Appello di Napoli, Antonio Buonajuto (che in occasione dell’inaugura­zione dell’anno giudiziario non si è potuto esimere dal criticare pure lui "una giustizia che non mostri in prima pagina soltanto la toga del pubblico ministero re­legando il giudizio e le vere san­zioni al tempo che sarà"), nell’uf­fici­o dei pm e nei tribunali la situa­zione è problematica assai. Alme­no due anni per una sentenza, re­cord italiano tuttora imbattuto. Rifacendosi ai dati aggiornati al 2010, con riferimento agli effetti del cosiddetto "processo breve", Lepore ha ammesso nero su bian­co che i procedimenti pendenti in primo grado a inizio 2011 sfon­dano quota 70mila, per rimettere a posto il casellario giudiziale oc­corre un anno tondo tondo, per ar­rivare a una sentenza di primo grado mediamente devono tra­scorrere 578 giorni dalla richiesta di rinvio a giudizio, da quest’ulti­ma alla fissazione della data del­l’udienza preliminare due mesi e mezzo, per la prima udienza di­battimentale, servono altri 209 giorni e altrettante notti. Se si è for­tunati e se tutto va bene, ovvio. I tempi veri, a sentire gli avvocati, si allungano di parecchio.

Accanimento terapeutico Constatato l’accanimento dei ma­gistrati campani nei confronti del politico europeo (mondiale?) più intercettato di tutti i tempi, una lettura attenta dell’opuscolo dedicato all’anno giudiziario 2011 regala a pagina 62 un passag­g­io esilarante che fa a cazzotti con la realtà che vede Berlusconi «at­tenzionato » più di un killer di Scampia: "È stata data, in genera­le, priorità solo temporale negli uffici di procura, ai fatti di maggio­re allarme sociale, ai procedimen­ti con detenuti, ai reati ambienta­li­e ai procedimenti con minor ter­mine di prescrizione". E i fatti del Cavaliere?

La prescrizione e Radio radicale Sono numerosi i processi a ri­schio di estinzione per prescrizio­ne. Il più clamoroso vede alla sbarra l’ex governatore Antonio Bassolino e altri 27 imputati per reati che spaziano dall’abuso d’ufficio alla gestione illegale dei rifiuti. Il dibattimento procede con una spettacolare lentezza, udienze fissate a distanza di me­si, dibattimento rigorosamente a porte chiuse (è stata vietata addi­rittura la presenza dei microfoni di Radio Radicale ). Sulla prescri­zione in senso lato il presidente della corte d’Appello non ha potu­to non sottolineare il pericolo di un iter sempre più farraginoso e ri­petitivo del processo penale. Per Buonajuto siamo di fronte al ma­le dei mali della giustizia:"L’im­plosione di un apparato giudizia­rio facile e disomogeneo che al­lungando la durata dei processi, condanna molti di essi ad estin­guersi per prescrizione". Col ri­sultato che i processi definiti per intervenuta prescrizione si molti­plicano "per un dibattimento pe­nale che si svolge in tempi lun­ghi" se non lunghissimi. I numeri non hanno bisogno di commenti: su 12.758 procedimenti penali iscritti presso la Corte d’Appello di Napoli ne sono stati definiti 8.714. Restano aperti 22.354 pro­cedimenti. Rispetto all’anno pre­cedente si è avuto un aumento delle "pendenze" del 22 per cen­to. Fra le cause della prescrizione l’irregolarità delle notifiche oltre a una casistica infinita di "disat­tenzioni" poi rilevate con succes­so dagli avvocati dei boss.

Lo scandalo decorrenza termini Quanti casi di boss scarcerati per decorrenza termini.L’ultimo sci­volone delle toghe è di luglio con la notizia del ritorno a casa di Enri­chetta Avallone, moglie del capo dei Casalesi Antonio Iovine, sott’inchiesta per estorsione. Di capiclan tornati a casa anzitem­po ce ne sono molti. Il vizio forma­le della mancata trasmissione ai difensori dei file audio con le in­tercettazioni telefoniche ha per­messo a Ettore Bosti, figlio del boss Patrizio, di uscire di galera nonostante la gravissima accusa d’aver fatto ammazzare il 17enne Ciro Fontanarosa perché non vo­leva entrare nel clan. Così pure Antonio Ambrosino, detto ‘o pi­stone , del clan Russo e Pasquale Conte (poi ucciso) del rione Sani­tà. Oppure i cugini Antonio Sarno (liberi perché era trascorso il peri­odo di tre mesi a disposizione dei pm per chiedere il rinvio a giudi­zio). C’è ancora il paradosso del fi­glio di Paolo Di Lauro (il Proven­zano della camorra per intender­ci), Vincenzo, scarcerato dal Rie­s­ame perché nell’ordinanza man­cava un paragrafo. I pm si sono di­fesi spiegando l’errore con un er­roneo "copia e incolla" del file o al­la fotocopiatrice mal funzionan­te. Ma il record lo deteniene il su­perboss Edoardo Contini, arresta­to due volte e per due volte scarce­rato per decorrenza termini.

Ingiusta detenzione e attesa di giudizio Gente arrestata ingiustamente, per non aver commesso il reato, perché il fatto non sussiste o per­ché quel fatto non costituisce rea­to, che chiede giustamente un ri­storo economico. Napoli è in te­sta pure qui: i procedimenti pen­denti per riparazione da ingiusta detenzione sono 497. Le statisti­che c­onfermano che in un solo an­no nel capoluogo risultano 372 ri­chieste di riparazione, più di una al giorno, festivi inclusi. Somman­do le richieste di Cagliari, Bolo­gna, Potenza, Firenze, Genova, Catania, Roma, Torino e Milano, si raggiunge a fatica il dato della sola città di Napoli. Non sappia­mo se lo scarcerando Gianpi Ta­rantini batterà cassa ma sicura­mente rifletterà sulle parole pro­nunciate da Lepore nel lontano 2004: "I risarcimenti per ingiusta detenzione? È inutile portare avanti un processo quando si sa che porterà a un’assoluzione". Quanto alla Legge Pinto, e al risar­cimento per l’"irragionevole du­rata del processo", Napoli nel 2007 (ultimo dato disponibile) era seconda solo a Roma con i suoi 4.049 procedimenti. Inutile affrontare il capitolo infamante del forsennato ricorso alla carce­razione preventiva per reati non di sangue finalizzato a costringe­re l’indagato a parlare per uscire. A Poggioreale l’associazione Ri­stretti fa presente che più dei due terzi dei 2.

654 occupanti sono de­tenuti in attesa di giudizio, men­tre Antigone al 2010, rivela che so­l­o in 459 hanno una condanna de­finitiva mentre 1.539 attendono una prima sentenza. Canta Napo­li, cantano i pm. E nessuno paga.

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