Sembra di sentire il colonnello Gheddafi, il dimenticato, il reietto, quello che il mondo considera lo sconfitto e intanto compare in televisione, minaccia, fa discorsi e accarezza bambini. Proprio ieri che il governo libico ha accettato le condizioni dellUnione Africana per una tregua. Lannuncio arriva in serata dal presidente sudafricano, Jacob Zuma, a conclusione dellincontro della Lega con Gheddafi a Tripoli.
Sembra di sentire Gheddafi - dicevamo -, e invece è il suo arcinemico, Mustafa Abdel Jalil, capo di quel Consiglio nazionale transitorio di Bengasi. Jalil, il capo dei ribelli, parla al Giornale radio Rai e dice questo: «Con lItalia e con il resto del mondo ci impegniamo a combattere limmigrazione clandestina, unemergenza che vede il vostro Paese in prima linea. Ma vorremmo anche che lItalia ci desse una mano nellaffrontare tutto questo, aiutandoci a proteggere le nostre frontiere».
In questi giorni Jalil sarà a Roma per incontrare il presidente Napolitano, il premier Berlusconi e il ministro degli Esteri Frattini. Ma fin dora ci tiene a far sapere che nulla è cambiato nelle relazioni fra la Libia e lItalia. Neppure i soffici ricatti ai quali ci aveva abituati il colonnello. Cambiano i protagonisti della scena, i personaggi e gli interpreti, però il feeling resta lo stesso di quando cera «lui». E tutto questo nonostante il presunto isolamento in cui lattivismo della Francia, che per prima diede gas ai suoi Mirage, rischiò di confinarci. O non si disse così, che ci eravamo giocati quella linea privilegiata di rapporti con il nascente establishment, il giorno in cui i francesi si trovarono a un tavolo con i tedeschi, gli inglesi e gli americani? E noi? Noi no. E a Frattini toccò la parte di quello che, stizzito, alza le spalle per dire: ma tanto, a noi che cimporta. Mica si prendono decisioni importanti, a quel tavolo. Però la rabbia cera.
Be, ora gli abbiamo fatto vedere, ai francesi e agli inglesi, che la nostra diplomazia ha saputo tessere, e cucire, e riadattare e insomma ecco che i rapporti con quelli di Bengasi son come nuovi. E da potenziali sostenitori, ma di secondo piano, dietro ai francesi e dunque anche dietro alla Total, che puntava a scalzare lEni, ci siamo sempre noi, sulla scena.
«In questa fase drammatica siamo riconoscenti al governo italiano per quello che ha fatto e sta facendo per noi. Il popolo libico non dimenticherà il vostro impegno per difendere i civili diventati bersaglio dellesercito di Gheddafi», dice Jalil. Poi una dichiarazione-civetta, una scelta di campo pubblica, un modo per rassicurare il nostro Paese e rinsaldare i vecchi rapporti daffari, industriali e commerciali fra dirimpettai. «Voglio ricordare che il primo contatto che abbiamo stabilito con un Paese straniero è stato proprio con lItalia, con il vostro ministro degli Esteri. E questo non lo dimenticherò. Il mio desiderio è che le relazioni con lItalia diventino sempre più solide», ribadisce il capo del Cnt.
La realpolitik adottata dunque dal governo italiano di fronte al brutale cambiamento di scena libico, dove nessuno sa ancora prevedere con un minimo di realismo come potrà finire, sembra dunque aver raggiunto i risultati che si prefiggeva. Mantenere saldi i rapporti col Paese, prima di tutto, indipendentemente da chi sarà a rappresentare il potere.
Le parole di Jalil restituiscono una immagine della Libia spaccata profondamente in due, con i ribelli arroccati saldamente a Bengasi e nella Cirenaica, e Gheddafi ancora saldo intorno a Tripoli. Una situazione che potrebbe portare a una divisione del Paese, come è stato alla fine per il Sudan.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.