Il giorno dopo la vittoria (o la sconfitta, dipende dal punto di vista) del partito di Putin e Medvedev, la giornata politica in Russia si sviluppa su tre fronti principali. Il rinvio al mittente da parte del Cremlino delle critiche internazionali circa la trasparenza del voto di domenica; la parziale autocritica di Putin sulle ragioni della netta perdita di consenso di «Russia Unita»; ultimo ma molto significativo, le proteste di piazza degli oppositori (non solo a Mosca e San Pietroburgo, ma anche in diverse altre città dello sterminato Paese) e la dura repressione delle stesse che ha portato in prigione centinaia di persone tra cui alcuni leader politici.
Vale la pena di partire da qui, visto che in cella sono finiti - ufficialmente per resistenza a pubblico ufficiale - anche personaggi di una certa notorietà. Tra loro Boris Nemtsov, ex vicepremier e attuale leader del partito di ispirazione liberale «Solidarnost’» (così battezzato ispirandosi al movimento «Solidarnosc» che negli anni Ottanta guidò la Polonia nella lotta vittoriosa contro il regime comunista); Oleg Orlov, numero uno della organizzazione «Memorial» che si batte per i diritti umani in Russia; Aleksei Navalny, noto blogger che si è fatto notare in modo particolare nelle manifestazioni antigovernative di queste giornate, accusando in sostanza «Russia Unita» si aver truccato le elezioni. Navalny, come un altro esponente di spicco dell’opposizione, Ilia Yashin, anche lui presente alla grande manifestazione che lunedì sera capitale ha portato in piazza a Mosca almeno ottomila persone, è stato condannato per direttissima a 15 giorni di carcere.
Ieri sera in una Mosca blindata le manifestazioni continuavano, così come gli arresti. Ciò che colpisce è che si sono contrapposti in piazza manifestanti pro e contro il governo, ma che la polizia - schierata in massa e rinforzata da un’intera divisione speciale fatta appositamente confluire nel centro della capitale - ha arrestato unicamente i secondi, mentre i cosiddetti Nashi, i giovani delle organizzazioni putiniane scesi in piazza al grido «Russia, Russia», non sono stati disturbati.
Le dimostrazioni di protesta contro i presunti brogli si diffondono anche in altre città come San Pietroburgo, Murmansk, Samara, Ufa, Novosibirsk e Rostov sul Don, con lo slogan «La rivoluzione prosegue? Sì!».
Il Cremlino reagisce con un certo nervosismo, testimoniato non solo dall’uso massiccio della polizia contro manifestanti pacifici, ma anche dai toni molto duri usati contro chi, nelle cancellerie straniere, ha messo in dubbio la trasparenza delle elezioni di domenica. Al segretario di Stato americano Hillary Clinton che aveva espresso «gravi preoccupazioni» sulla regolarità del voto, il ministero degli Esteri ha replicato con una nota che definisce simili affermazioni «inaccettabili»; dal canto suo il presidente Medvedev ha incaricato oggi la Commissione elettorale centrale (la stessa che già ha definito il voto regolare) di indagare sui presunti brogli, ma ha aggiunto che «nessuno si deve ingerire nel nostro sistema politico».
Intanto si apre la resa dei conti politica del sopo-voto.
Putin ha riconosciuto la parziale sconfitta, ma l’ha minimizzata: «Ci sono state perdite ed erano inevitabili per qualsiasi forza politica, specialmente una che, e non per il primo anno, ha la responsabilità della situazione nel paese», ha detto il premier parlando ad esponenti di Russia Unita. Alcuni analisti già osservano che Putin potrà comunque scaricare su Medvedev le responsabilità del calo di consensi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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