La saggistica italiana era uno stagno tranquillo. Marchi storici, «prodotti» consolidati e, diciamolo, anche un livello qualitativo molto alto. Magari si vendeva poco, si vendeva sul lungo termine (strategie decennali), ma c’era molto spazio per gli autori forti, di peso (con quelle ovvie e note derive a sinistra che caratterizzano la cultura del nostro Paese).
Adesso la musica è cambiata. Nella saggistica, e per capirlo basta guardare le classifiche, c’è stata un’improvvisa sterzata. Sull’onda della crisi hanno fatto irruzione sul mercato un’infinità di «finti saggi», ossia di inchieste cotte e mangiate che tallonano da vicino i quotidiani e l’attualità. Insomma, libri un po’ corsari (per la loro capacità di muoversi veloci sul mare editoriale) e che occupano rapidamente le classifiche. Altrettanto rapidamente poi spariscono, ma intanto fanno copie (strategie mensili). E dove prima regnavano incontrastati i professori adesso regnano incontrastati i giornalisti «d’assalto». E dove prima regnavano i marchi storici della saggistica, come Bur, Laterza, Fazi, Feltrinelli o Bollati Boringhieri adesso si fanno largo outsider come Chiarelettere.
La casa editrice fondata da Lorenzo Fazio - 52enne, originario di Genova, che vanta una lunga esperienza come editor prima all’Einaudi e poi alla Bur Rizzoli, oltre ad una formazione universitaria parigina - è riuscita a imporre i suoi titoli in classifica in meno di due anni. Solo per citare le ultime settimane Marco Travaglio, Peter Gomez e Marco Lillo hanno scalato le vendite della saggistica con Papi mentre Gianluigi Nuzzi è sempre presente con il suo Vaticano Spa. Ma non è un caso isolato: molti altri titoli Chiarelettere, con qualche differenza tra una classifica e l’altra, hanno navigato nei primi dieci o nei primi venti: I nuovi mostri di Oliviero Beha, Italia anno zero (di nuovo Travaglio in compagnia di Vauro e Beatrice Borromeo), Un inverno italiano di Andrea Camilleri... E questo modello di saggio veloce, di saggio aggressivo, ha costretto anche i concorrenti a puntare su nuovi modelli editoriali. Laterza prova a difendersi con i brevi saggi della collana «Anticorpi», Il Mulino si è messo ad investire con molta più decisione sulle «Voci». Peggio è andata a Bollati Boringhieri che sotto il peso della sfida ha ceduto troppo terreno ed è stata accorpata dalla Gems, il sempre più potente gruppo editoriale della famiglia Mauri. Un gruppo che possiede anche il 49% di Chiarelettere e che nella saggistica d’assalto, che picchia a gamba tesa, sembra assai propenso a investire. Tanto che Il Foglio di Giuliano Ferrara ha visto nelle strategie del gruppo Mauri qualcosa di più ampio rispetto alle semplici scelte editoriali: «L’idea di Mauri è più ambiziosa: vuole proporsi sul mercato come il cuore pulsante dell’ideologia antiberlusconiana». E nonostante le smentite di Stefano Mauri («Possibile che pochi libri, sulle migliaia che pubblichiamo, bastino ad etichettare una ricca attività editoriale?») è un fatto che un certo modo aggressivo di scegliere volumi e titoli stia facendo scuola. E a propositi di fatti: il Fatto (inteso come il futuro giornale di Travaglio), è la prova che Chiarelettere (che ne sarà il principale finanziatore) sia un editore che di travaglismo vive. E gli effetti di questo modo di intendere l’editoria si vedono. Finisce in classifica quasi esclusivamente ciò che è scritto nel formato del pamphlet aggressivo, del pamphlet che lancia qualche schizzo di fango. Senza contare che l’editoria si colora rapidamente di politica e che l’idea di collana saggistica vecchio stile viene uccisa. L’inchiesta si sposta dai giornali verso un media che tradizionalmente veicolava contenuti molto più sedimentati. Scientificamente veri, o almeno scientificamente accettabili.
Certo, una qualche responsabilità va data anche ai giornali e alla loro attitudine a non prendersela con i poteri forti. Almeno è così secondo Lorenzo Fazio, che ci dice: «In Italia la situazione è difficile. La Rai è da sempre politicizzata, Repubblica è in mano a De Benedetti, il Corriere dipende da una pletora di interessi e poi esiste tutta una galassia di media berlusconiani. Ecco che il lettore cerca da altre parti le inchieste che sui quotidiani non escono».
Quanto all’accusa di ridurre tutto a schermaglia politica e di militare in campo antiberlusconiano Fazio la rifiuta con forza: «Tutto passa dalla politica, ma i libri che facciamo a Chiarelettere esulano dalla brutta logica che spinge a fare solo le cose che fanno contento l’amico dell’amico e, soprattutto, non mi interessa cucirmi addosso una casacca... Quanto a Berlusconi, noi abbiamo puntato il dito sul conflitto di interessi. Ma abbiamo puntato il dito anche su altre cose. Il partito del cemento di Ferruccio Sansa e Marco Preve non è certo tenero con le amministrazioni liguri di centrosinistra, Vaticano Spa è scritto da un giornalista di Panorama come Gianluigi Nuzzi, che di sicuro non è spostato a sinistra. Anzi, guardi La paga dei padroni di Giorgio Meletti e Gianni Dragoni. Mostra che le aziende della famiglia di Berlusconi sono più equilibrate di altre nel trattamento dei dipendenti...».
Il rischio che però libri di questo tipo appiattiscano il lettore sul presente e sullo scandalistico esiste. Basta pensare all’irruzione nelle classifiche dell’ultimo nato di casa Chiarelettere: Papi. Uno scandalo politico. Partorito dai soliti Peter Gomez, Marco Lillo e Marco Travaglio, viene difficile pensarlo come un saggio o come un testo che si sia preso anche solo la briga di valutare con calma le fonti. Tant’è che lo stesso Fazio ammette che in questo caso si tratta di un vero instant book: «È vero, è stato fatto in pochissimo tempo, è stata un’accelerazione notevole. Ma è l’unico. Per gli altri libri i tempi di produzione sono stati veloci, ma non velocissimi...».
E la preoccupazione sulle derive di una saggistica che o si velocizza o muore ci sono anche tra editori di «sinistra» come Feltrinelli. Gianluca Foglia, l’editor chiamato a rilanciare la saggistica dello storico marchio milanese, ha dichiarato in una recente intervista: «Per quanto concerne i pamphlet, anche noi stiamo dentro la tendenza, ma pensiamo che la sfida della saggistica sia quella di fare grandi libri destinati a durare». Anche Andrea Romano, editor esperto di storia appena giunto alla Marsilio, vede i limiti di questo andamento di mercato: «Il saggio tradizionale è molto sacrificato dai nuovi orientamenti del mercato. Se si pensa al fatto che in un certo senso segna una democratizzazione è un bene... C’è da dire però che, in larga misura, si tratta di libri che non fanno altro che assecondare il vizio italiano della lamentazione. Soprattutto deve ancora riuscire a svilupparsi una saggistica giornalistica non travaglista. Ora come ora, i libri di questo tipo seguono quel modello e basta... Senza contare che un grande limite è dato da come è strutturato il pubblico. In Italia ci sono tribù di opinione molto forti. Gente che compra un libro solo per vedersi confermata nelle convinzioni che ha già.
Non sono sicuro che questo favorisca la circolazione delle idee...».E se le idee non circolano e non si bilanciano nel testo, la parola saggio - viene dal latino tardo «exagium», che significa appunto bilancia (delle idee) - perde di senso.
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