I senatori a vita: le stampelle dell’Unione

Luca Telese

da Roma

Novantenni di tutto il mondo unitevi! A Palazzo Madama, come da tempo Il Giornale aveva anticipato, la carta decisiva torna ad essere «il fattore Matusalemme», l’arma finale gerontocratica. Non è una battuta, ma una semplice constatazione tecnica: posta di fronte al problema di eleggere i nuovi presidenti di Commissione, la maggioranza di centrosinistra ha deciso di percorrere l’unica strada che - dato i numeri e le attuali regole - poteva permettergli di assicurarsi la guida dei gangli decisivi di Palazzo Madama: rimettere ancora una volta in campo i senatori a vita.
Come è possibile? La prima condizione la crea proprio il regolamento del Senato che, come è noto, a parità di voti raccolti, assegna la presidenza al candidato più anziano. Così l’Unione si trovava di fronte a un problema tecnico ineludibile: data la maggioranza risicatissima di cui dispone, (da tre a dieci voti nel calcolo plenario, ricorrendo o meno ai senatori a vita come nel caso della fiducia) in moltissime commissioni il numero degli eletti, stabilito con criteri rigidamente proporzionali rispetto alla composizione dei gruppi, finiva per essere esattamente paritetico. Come passare in vantaggio? È a questo punto che sono tornati in campo i contestatissimi ottuagenari (se non novantenni) d’assalto. Con calcoli incrociati ed elaboratissimi, l’Unione ha composto la propria rappresentanza nelle commissioni di Palazzo Madama in modo da poter ottenere (almeno sulla carta) tutte le presidenze in palio. Il vero fattore aggiunto, ancora una volta, lo daranno i senatori a vita. Così Emilio Colombo e Oscar Luigi Scalfaro sono andati in Commissione Affari costituzionali, e in Commissione Esteri sono andati Giulio Andreotti e Carlo Azeglio Ciampi, in Commissione Istruzione è stata designata Rita Levi Montalcini (e in ogni caso per la presidenza si punta su Sergio Zavoli, 83 anni), in Commissione Lavoro è stato designato Sergio Pininfarina (e c’è un candidato presidente di centrosinistra, Massimo Livio Bacci, diessino, che con le sue 70 primavere è comunque il decano). Francesco Cossiga ha scelto la commissione Difesa, ma nel suo caso (forse l’unico) ancora non si sa cosa deciderà di fare al momento del voto, visto che sono note sia l’autonomia da qualsiasi maggioranza, sia l’imprevedibilità dell’ex presidente.
Eppure, anche grazie a questo aiuto (in alcuni casi probabile, in altri pianificato) ci sono ancora tre commissioni in cui il risultato è incerto: si tratta della Difesa, della Finanze e della Esteri. Nella prima la Casa delle libertà conta addirittura un voto in più, 12 a 11 (è quella dove c’è anche Cossiga) ma può contare sulla decana Lidia Menapace (eletta con Rifondazione, 82 anni, al confronto l’ex capo dello Stato è un ragazzino). Nella Finanze l’età dei duellanti si abbassa: i voti sono 12 a 12, ma l’ex sindacalista ulivista Giorgio Benvenuto (69 anni) batte di pochissimo l’azzurro Cosimo Ventucci (che è appena 68enne). Mentre una vera incognita sarà il voto in Commissione Esteri, dove il centrodestra ha due voti di margine (13 a 12) ma poi ci sono i due senatori a vita. In caso di parità fra due candidati gli 87 anni di Giulio Andreotti potrebbero ancora una volta risultare decisivi. In più c’è la commissione Industria, dove il voto «agobilancista» sarà quasi sicuramente quello del senatore «indipendente» Luigi Pallaro (anche lui in maggioranza al momento del voto per Franco Marini, ma a quel che si dice non soddisfatto dalla formazione del governo). Potrebbe persino essere decisivo anche anagraficamente, perché in caso di candidatura metterebbe sul piatto i suoi 80 anni.

Eppure, molto più che nel voto di fiducia «il fattore Matusalemme» qualche perplessità lo suscita: non si tratterebbe più di un voto di indirizzo generale pro-governativo, ma un vero e proprio ingresso in maggioranza, di cui a Palazzo Madama non si ha memoria. E sarebbe comunque una scelta difficile perché, una volta eletto il presidente, resterebbe il problema di come assicurare la maggioranza giorno per giorno. Cosa che, è ovvio, gli ottantenni non possono fare.

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