I sindaci di sinistra si svegliano: la manovra non va

Gian Battista Bozzo

da Roma

C’è voluto qualche giorno di «riflessione». Ma alla fine, letta e riletta la Finanziaria che li riguarda, i sindaci del centrosinistra sono usciti allo scoperto: dapprima Massimo Cacciari e poi, a valanga, Leonardo Domenici, Walter Veltroni, Sergio Cofferati, Sergio Chiamparino, Rosa Russo Jervolino. E se i primi cittadini di Venezia, Firenze, Roma, Bologna, Torino e Napoli definiscono in coro «inaccettabili» i tagli della manovra economica, non c’è Prodi né Padoa-Schioppa che possano resistere.
E così, a nome del premier, Vannino Chiti alza bandiera bianca. «Il presidente Prodi - afferma il ministro dei Rapporti col Parlamento - si è detto d’accordo sull’opportunità di aprire un tavolo di confronto a palazzo Chigi. Nella Finanziaria - aggiunge - ci sono aspetti critici che riguardano in particolare i Comuni. Bisogna vedere se è possibile ridurre il peso della manovra che grava su di loro».
Il segnale di resa prodiana arriva dopo la dichiarazione di fuoco del sindaco di Bologna, che parla a noma di tutti gli amministratori locali dell’Emilia Romagna. Sergio Cofferati esprime «fortissima preoccupazione» per una manovra che disegna uno «scenario insostenibile per gli enti locali», e nel dettaglio lamenta il pesante taglio dei trasferimenti, il rinvio al 2008 della compartecipazione, l’assenza di proposte sul federalismo fiscale, la scarsità di risorse per gli investimenti, l’«esiguità» delle norme che concedono ai Comuni il controllo sul catasto. Complessivamente, i tagli sugli enti periferici valgono 4,3 miliardi (2,7 miliardi su Comuni e Province). Tutti i Comuni sopra i 5mila abitanti - secondo le norme del nuovo Patto di stabilità interno - dovranno ridurre la spesa corrente del 3,4%; non potranno ricorrere all’indebitamento oltre il 2,6% dello stock di debito precedente; subiranno tagli alla spesa per il personale, e un parziale blocco del turnover (una assunzione ogni 5 pensionamenti). In compenso, potranno decidere tasse di scopo, a carico dell’Ici, per la realizzazione di opere pubbliche. E deliberare aumenti dell’addizionale Irpef dallo 0,5 allo 0,8%. Decisioni pericolose perché impopolari: secondo i calcoli di Domenici, l’addizionale allo 0,8% porterebbe 3,5 miliardi di entrate in più.
I «grossi calibri» del centrosinistra nelle grandi città d’Italia hanno dunque deciso di sparare. «A Torino tagliano fra i 184 e i 196 milioni, e anche se aumentassimo al massimo addizionale Irpef e Ici, non li potremmo recuperare. Ho la tentazione di portare le chiavi del Comune a palazzo Chigi», attacca Sergio Chiamparino. Persino il sindaco della capitale, Veltroni, abbandona per qualche minuto la sua cifra buonista ed ammette che «moltissime cose non vanno bene» e che i tagli mettono a rischio i servizi nella loro qualità e quantità. «Adesso Veltroni difenda Roma dai tagli di Prodi con la stessa veemenza con cui ha affrontato i provvedimenti di Berlusconi», attacca Gianni Alemanno (An). Mentre Rosa Jervolino se la prende con la tassa di soggiorno: «Ci mancherebbe altro... dobbiamo attirare i turisti, non allontanarli», osserva il sindaco di Napoli.
Alla rivolta dei sindaci rossi - spalleggiati dai presidenti di Regione, come Antonio Bassolino, e di Provincia, come Filippo Penati - Prodi risponde con la ormai classica «apertura del tavolo». L’annuncio lo dà Vannino Chiti, parlando all’assemblea delle autonomia locali di Viareggio. Davanti a una platea rumoreggiante di amministratori locali, per lo più di centrosinistra, il ministro ammette che la Finanziaria è troppo pesante coi Comuni, e che se ne discuterà sì in Parlamento, ma anche a palazzo Chigi. Leonardo Domenici coglie l’occasione per chiedere sia una manovra meno pesante dei 2,7 miliardi «insostenibili» per i Comuni, sia l’eliminazione del vincolo del 2,6% all’accensione di nuovo indebitamento comunale. L’impressione è che Prodi dovrà negoziare anche con le Regioni. Per Mercedes Bresso, governatrice ds del Piemonte, la Finanziaria «strangola gli investimenti».

E Nichi Vendola va ancora più in là, chiedendo le dimissioni di Linda Lanzillotta, ministro degli Affari regionali, dopo che il governo ha impugnato il bilancio d’assestamento della regione Puglia. «È un atto inaudito - tuona il governatore comunista - , andremo alla Consulta».

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