Seconda ristampa per il romanzo autobiografico «L'esilio dei sogni» di Luciano Làdavas, skipper e navigatore con all'attivo diverse regate oceaniche, il giro del mondo e il doppiaggio di Capo Horn. Un libro sul richiamo irresistibile del mare, della navigazione in barca a vela, come mezzo per inseguire i propri sogni (a volte andati appunto «in esilio») e soddisfare la sete di vita che rende insofferenti verso la prospettiva di una tranquilla esistenza tra casa e lavoro. Un esercizio, anche, di introspezione, perché l'autore racconta con franchezza di sé, di desideri, esperienze e debolezze, del rapporto con familiari, amici, fidanzate.
La solitudine si rivela presto per lui una costante, perché proprio in solitudine può dedicarsi meglio a ciò che ama: scrivere, ascoltare musica, leggere, camminare. «Il passo di chi cammina, la pedalata di chi va in bicicletta, la prua che fende l'oceano - se non sempre lo ricreano, il mondo lo svelano; la grande velocità lo annulla, in un vuoto ipnotico», scrive. Il racconto alterna la descrizione dei viaggi - con pagine avvincenti sulle gioie e sui pericoli dell'andare per mare - a ricordi della vita a Milano, durante l'infanzia e gli studi, senza un ordine cronologico preciso. Attraverso gli occhi di Làdavas scopriamo il fascino di luoghi come la Martinica e Tahiti, Panama e la Terra del Fuoco, proviamo con lui la «vertigine di galleggiare tra due abissi», lo sconcerto e il gusto della sfida, l'esaltazione e la fatica di affrontare imprese audaci in condizioni meteorologiche estreme «con la consapevolezza di navigare al limite delle proprie capacità fisiche e morali, al limite della propria incolumità e di quella della barca». Ma anche il piacere sempre nuovo di sentirsi in sintonia con i grandiosi scenari naturali che l'oceano offre, con il vento, le nuvole, la schiuma delle onde, la straordinaria bellezza dell'aurora australe.
C'è tenerezza nel modo in cui sono rievocate e tratteggiate le figure femminili, a cominciare dalla nonna appassionata d'opera che aveva pochi soldi e portava il piccolo Luciano nella piccionaia del loggione del Teatro alla Scala, per continuare con gli incontri occasionali e le diverse donne della sua vita, in qualche caso spaventate all'idea di partire continuamente per nuovi viaggi, in altri casi navigatrici a loro volta valide e piene di risorse, come Leò, «colei che sarebbe divenuta con il tempo la mia compagna storica»».
Ampio spazio è dedicato all'amicizia con personaggi conosciuti in mare, come il grande velista Eric Tabarly e «il vagabondo dei mari del Sud» Bernard Moitessier. Troviamo invece parole di sarcasmo per la meschinità e la grettezza di certi navigatori a vela che si credono eroi in virtù della scelta che hanno fatto a favore del mare e disprezzano chiunque conduca una vita normale a terra. L'autore, che è anche giornalista, dichiara espressamente di non amare le descrizioni letterarie del paesaggio, in cui scrivendo si cerca di dipingere con le parole come farebbe un pittore con i pennelli.
Luciano Làdavas, «L'esilio dei sogni», Mursia Editore, pagg. 374, 19.