I soliti quattro gatti tentano di fermare il treno superveloce All’avvio dei carotaggi per la galleria della Torino-Lione sfilano 50 contestatori

MANIPOLO Arrancano i sobillatori: pochi e poco convinti sembrano un’armata Brancaleone

L’epica scolora in farsa alle 6.30 del mattino. I tecnici che dovrebbero bucare il terreno si presentano all’autoporto di Susa per cominciare le trivellazioni. Ad attenderli i duri e puri, i contestatori a prescindere. I grandi numeri sono solo un ricordo. Ora scarseggiano. Saranno duecento, trecento al massimo, perlopiù professionisti della contestazione. E con l’ansia da prestazione. «Permesso», chiedono gli ingegneri della Ltf, «dovrete passare sui nostri corpi», replicano i leader dei No Tav. «No, andremo da un’altra parte», controreplica sul filo dell’ironia un agente della Digos. I barricadieri sono disorientati: hanno capito troppo tardi che quello di Susa era un sondaggio-depistaggio. Un ballon, per saggiare le ansimanti forze dei No Tav: frange dei centri sociali, anarchici in assetto da combattimento, qualche consigliere comunale iperradicale che vorrebbe riproporre un micro ’68. Alla testa dell’armata Brancaleone c’è un tandem: Alberto Perino, il sindacalista bancario in pensione che della lotta alla Tav ha fatto una ragione di vita, e la prima cittadina di San Didero, comune di 430 abitanti che con il nuovo tracciato della Tav non c’entra più nulla, Loredana Bellone, con tanto di bandana su cui è scritto sindaco.
La formazione si sbanda. Lo scontro, alla ricerca di un’eventuale gloria sul campo, è rinviato a data da destinarsi. Ma quella che non si vede più è la massa d’urto dei cittadini che nel 2005 erano per il no. La gente si è defilata, anche se sono rimaste sacche di nemici del treno veloce, e resiste, immutabile, l’ideologia No Tav. Una vernice di slogan, di luoghi comuni e di paure anticapitalistiche.
Una delegazione, sempre più sottile, una cinquantina di manifestanti, raggiunge il municipio di Susa per dialogare con il sindaco pdl Gemma Amprino. Che riceve una manciata di abitanti e cerca di tranquillizzarli: «Non temo i sondaggi perché i dati che emergeranno sono estremamente utili e tutelanti sia per quanto riguarda l’opera che per l’utilizzo dei fondi pubblici». Non basta, perché Amprino ribalta i ruoli e tiene una lezioncina veloce in cui coniuga progresso ed ecologia: «Credo che la sfida del nostro Comune sia quella di dimostrare che le attuali tecnologie possono fare una grande opera senza manomettere il patrimonio naturalistico».
Cartoline dalla Val di Susa. A parti rovesciate. Forse il lavoro dell’Osservatorio, creato dopo gli scontri di Venaus del dicembre 2005, ha dato i suoi frutti. Cento e passa riunioni, un’attività capillare di informazione, lo studio di un nuovo progetto, la correzione di alcuni errori commessi e oggi si scopre che gli umori della valle sono cambiati. «Il clima oggi è molto più respirabile - spiega al Giornale il presidente dell’Osservatorio Mario Virano - io credo che la gente abbia capito l’importanza dell’opera e apprezzi gli sforzi compiuti per coniugare lo sviluppo e il rispetto del territorio».
Se ieri tutti i 60mila abitanti della Val di Susa erano nemici della Tav, oggi i contestatori sono sempre meno. Guidano un corteo che non c’è più. Sono rimasti i Perino, le Bellone, gli irriducibili come Lele Rizzo, storico leader del centro sociale Askatasuna che chiede a Gemma Amprino: «Lei è un sindaco Sì Tav?». «Se prima avevamo 50mila nemici - ragiona Virano - oggi, a spanne, ne avremo cinquecento». Cento volte di meno. Non abbandonano la trincea alcuni amministratori locali di area pd, ma anche la sinistra, dopo liti e divisioni, ha imboccato la strada dell’alta velocità. E il sindaco di Torino Sergio Chiamparino è fra i promotori della manifestazione bipartisan che si terrà al Lingotto il 24 gennaio. L’idea è quella di dare voce alla maggioranza silenziosa che vuole la Tav. Al mercato di Susa i reduci diffondono un volantino dai toni apocalittici: «Tutta la Val di Susa è contraria a vedersi trasformata in un cantiere a cielo aperto per più di vent’anni. La popolazione è estranea alle logiche di potere imposte dalla lobby della Tav».
Un linguaggio da anni Settanta che non fa più presa. I sondaggi, quelli veri, sono cominciati a Torino, a Collegno, a Orbassano. Il piano studiato dal prefetto Paolo Padoin va avanti: si procede a scacchiera sul filo della segretezza, lontano, se possibile, dai riflettori e dalla logica degli scontri che farebbero comodo a chi vuole inasprire i toni. I No Tav se l’aggiustano: «Il movimento ha respinto il primo tentativo delle forze dell’ordine di occupare il sito e dare così inizio ai sondaggi».

In mancanza di meglio, si spaccia per vittoria una battaglia che non c’è mai stata. Non sarà facile per i sopravvissuti del fronte No Tav inseguire il nemico che è sempre altrove. E ha vinto sul piano più importante: quello del consenso.

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