I sondaggi sull’arte fanno arrabbiare gli «art consultant»

Uno studio commissionato a Renato Mannheimer dall’osservatorio Terna e, immediatamente, nello stagno dell’arte contemporanea scoppia la Batracomiomachia. L’uomo il cui nome in Italia fa rima con sondaggio ha fatto un rilevamento con il metodo panel, dal quale è risultato che i nostri concittadini a cui piacciono gli artisti di oggi sono sempre meno. Perché? Perché sculture, quadri e performance sono sempre meno comprensibili. E forse per rendersi conto di questo sentimento collettivo non ci sarebbe stato bisogno di rivolgersi ai grafici a torta.
Eppure è bastato questo a far molto arrabbiare alcuni art consultant come Francesco Cascino o alcuni galleristi come Pepi Marchetti Franchi direttrice della prestigiosa Galleria Gagosian di Roma. Piccati, hanno fatto notare, intervistati dall’agenzia Agi, che l’arte è diventato il primo business del pianeta. Anzi, dopo un breve periodo di stop le aste stanno ricominciando a far registrare nuovi record. Abbastanza perché Cascino abbia addirittura pensato di malignare sul Premio Terna, iniziativa parallela ma non direttamente collegata con i dati dell’osservatorio: «I curatori attuali del premio negli anni hanno indicato sul palcoscenico della cultura visiva una serie di artisti che si sono rivelati senza qualità... Quindi è il valore di questi artisti che è sceso, ma questo è diverso dal dire che c’è una crisi in atto». Dati Terna-Ipso alla mano urge dire che il souflé polemico si sgonfia subito. La squadra di Mannheimer rileva che le persone comuni si disinteressano di arte contemporanea. Non parlano affatto di chi compra o non compra. Anzi, quando si parla di arte come investimento, la sensazione raccolta dai sondaggisti è che la questione economica sia apprezzata. Il 19% degli intervistati pensa che in un periodo di crisi quadri e sculture siano un salvagente. E addirittura 1,6 milioni di italiani (cifra dedotta moltiplicando i numeri del campione) sarebbero propensi (a parole) ad acquistare opere d’arte. Ecco perché Renato Mannheimer di fronte alla levata di scudi è caduto dalle nuvole. «Noi parlavamo di opinione pubblica non di quei 30mila grandi acquirenti che comprano o vendono secondo logiche completamente diverse. Se il mercato va bene mi fa piacere, noi abbiamo fatto una ricerca su tutt’altro, sull’opinione delle persone. Quanto poi alle illazioni sul rapporto tra il Premio Terna e quello che rispondono i nostri intervistati... giudichi lei se c’è una qualche possibile correlazione».
Sulla stessa linea Gianluca Marziani, uno dei curatori del Terna: «Noi sponsorizziamo la ricerca di Manneheimer ma finisce lì. Le scelte degli artisti premiati sono un’altra cosa. Sono ovviamente, come qualsiasi scelta artistica, venate di soggettività. Ma non mi sembra che il mercato abbia reagito male. Forse è Francesco Cascino a non apprezzare di aver collaborato al premio solo per il primo anno, non venendo riconfermato...». Polemiche a parte è un dato di fatto che un conto sono i fatturati e un altro l’impatto culturale. Dice Massimo Minini uno dei più importanti galleristi italiani per quanto riguarda l’arte contemporanea: «Dei dati di Mannheimer quello che mi lascia più in dubbio è il fatto che le proiezioni arrivino a parlare di milioni di possibili acquirenti... Alla fine gli acquirenti veri sono molti meno. La vera schizofrenia del mercato, che non va male, è data da quelli che prima ti chiedono uno sconto e poi spendono follie a un’asta.

Mannheimer registra che si è creato un pubblico che immagina l’arte come investimento. Però io lo sconsiglio, i quadri non sono azioni di borsa... Poi ci sono i molti che non ne vogliono saper niente e quelli che hanno capito il valore del modernariato. Non è un brutto risultato».

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica