René Ndjeya ha appena spento 58 candeline. In Africa si è già anziani a quell'età e vien voglia di fare il resoconto di una vita. Lui è stato uno dei Leoni Indomabili del Camerun. Gendarme della difesa di quella squadra che nel 1982 a Vigo spaventò gli azzurri di Bearzot. Ndjeya vive ancora a contatto col pallone inteso come svago. Lo stipendio glielo versa il ministero dei trasporti del Camerun. «Sì, sono un ferroviere. Una volta chiusa la carriera a Yaoundé non si può certo vivere di rendita. Ho trovato un impiego tranquillo. Su misura per me». Lincontro con Ndjeya avviene a Cotonou, capitale-formicaio del Benin. A queste latitudini lha inviato lUnion Douala, il suo ex club, per scovare qualche giovane talento. Ndjeya ha messo su parecchi chili da quando ha lasciato il calcio giocato, ma locchio da scout di belle speranze è rimasto intatto.
Non riesce a vivere facendo solo losservatore?
«Mi pagano la trasferta e si affidano al mio entusiasmo. Ci sono pochi soldi in Africa. Ormai il calcio per me è un hobby».
Nel 1982 non era proprio così. Lei, assieme a Milla, Nkono, Tokoto e Kunde, faceva parte di una squadra che sorprese il mondo.
«Sono passati quasi trentanni. Quel Camerun era davvero forte. Non cera solo forza fisica, ma anche buona tecnica nei suoi interpreti».
Due pareggi con Perù e Polonia, poi la sfida con lItalia. Distante anni luce dal gruppo che da lì a poco sollevò la Coppa del Mondo al Bernabeu.
«Sulla carta era sicuramente tra le squadre migliori, però aveva paura. Per novanta minuti gli italiani hanno tremato, soffrendo la nostra fisicità».
Il gol di Graziani, che lei marcava, fu provvidenziale.
«Si sbaglia. Riguardi lazione. NKono scivola sul più bello. Diversamente il pallone non sarebbe mai entrato».
Lei sa che su quella partita sono stati pubblicati libri e inchieste? Si disse che lItalia vi aveva pagato per non perdere.
«Per anni se nè parlato anche in Camerun. Ma noi africani non abbiamo la mentalità per architettare certi mezzucci. Viviamo alla giornata, improvvisiamo sul momento. Per questo non vinceremo mai un mondiale».
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