Ma gli scoop di Assange sono gratuiti o a pagamento? E quali condizioni pone ai giornali che li diffondono? A tre giorni dalla pubblicazione dei file segreti del dipartimento di Stato, che avrebbero dovuto sconvolgere il mondo e che invece hanno avuto leffetto del bang di un aereo che rompe la barriera del suono (tanto rumore, nessun danno), aumentano i dubbi sul fondatore di Wikileaks e, in particolare, sul suo rapporto con la stampa.
Di solito il tempo aiuta a far chiarezza, in questo, però, con il trascorrere dei giorni aumentano i dubbi, i misteri, le allusioni. Ieri, ad esempio, abbiamo appreso che i 260mila file erano stati offerti anche a Cnn e Wall Street Journal, che però hanno rifiutato lofferta. Insomma, hanno preferito rinunciare allo scoop del secolo.
«Abbiamo declinato perché non volevamo accettare precondizioni, senza avere avuto neanche la possibilità di capire cosa contenessero quei documenti», ha ammesso. Traduzione, per i non addetti ai lavori: Assange ha proposto il pacchetto a scatola chiusa. Di solito, in casi come questi, viene data la possibilità di esaminare almeno un campione. E invece no, come accade ai concorrenti di un quiz televisivo. Vuoi diventare milionario? Pardon, vuoi diventare uno dei giornali più potenti al mondo, perlomeno per qualche ora? O tutto o nulla. O 250mila e-mail rubate o nemmeno una. Ma in cambio di che cosa, peraltro? Assange è davvero lidealista che sfida le potenze del mondo in nome della Verità, della Giustizia e della Trasparenza, senza alcun interesse personale?
Le perplessità si rafforzano incrociando le ammissioni del Wall Street Journal con le dritte passate dalla Cnn al Washington Post. Il più celebre network dinformazione televisivo al mondo ha rivelato che Wikileaks pretende da ogni testata la sottoscrizione di una clausola di riservatezza, che comprende una penale di 100mila dollari in caso di violazione. Inoltre rivendica il diritto, insindacabile, di scegliere il tribunale presso cui fare ricorso.
Sono accortezze da grande negoziatore o da raffinato uomo daffari, ben consigliato. E i consigli, si sa, costano. Chi salda il conto? Forse lo stesso Assange, con i fondi ottenuti proprio dai giornali. È il sospetto che aleggia in queste ore. Se chiedi una penale in denaro, peraltro sostenibile da testate di quel calibro, è verosimile che a monte ci sia una transizione di eguale natura. Di cui nessuno ovviamente ha interesse a parlare. Guardian, Le Monde, Der Spiegel ed El Pais non hanno dichiarato di aver pagato, ma non lo hanno nemmeno negato. Largomento è tabù.
Quattro testate, la quinta lembargo lo ha rotto davvero. I file dovevano essere pubblicati alle 22.30 di domenica sera, ma il New York Times ha fatto uscire le prime indiscrezioni una manciata di ore prima. Eppure non pagherà nessuna penale. Comè possibile? In realtà, non partecipava al pool. Assange lo aveva escluso per vendicarsi di precedenti sgarbi. Il quotidiano newyorkese li ha ricevuti dal Guardian, cui aveva gentilmente offerto la competenza dei propri redattori. Ma non appena ricevuto il faldone telematico, il New York Times lo ha passato al governo americano, che così ha avuto il tempo di vagliarlo e di lanciare unoperazione preventiva di contenimento danni.
Ma non è un giornale indipendente, il ringhioso cane da guardia del sistema, temutissimo dal governo? Talvolta il mito non corrisponde alla realtà. Non è la prima volta che il New York Times antepone linteresse nazionale.
Nellottobre del 2004, alla vigilia dalle elezioni presidenziali, ad esempio, il New York Times decise di non pubblicare lo scoop sulle intercettazioni telefoniche illegali, accettando una richiesta pressante della Casa Bianca. Come poteva George Bush conoscere in anticipo la notizia? Semplice, era stato avvertito dal direttore del quotidiano, Bill Keller, che bloccò lo scoop per un anno.
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