I Talebani di nuovo all’attacco: è battaglia contro i soldati italiani

La Nato conferma che in Afghanistan i guerriglieri respinti dagli alleati nelle province vicine si stanno spostando nelle zone controllate dai nostri soldati. Impiegati forze di terra, i Predator e gli elicotteri Mangusta per salvare un caposaldo circondato dai ribelli a Shewan. Ma è silenzio sul numero dei nemici uccisi

I Talebani di nuovo all’attacco: 
è battaglia contro i soldati italiani

Le truppe italiane, con tanto di appoggio aereo, sono state ingaggiate in una furiosa battaglia con i talebani nella provincia di Farah, spina del fianco del nostro contingente nell’Afghanistan occidentale: oltre all’intervento della Forza di reazione rapida, hanno lanciato gli aerei senza pilota Predator per individuare gli obiettivi e hanno impiegato gli elicotteri d’attacco Mangusta. L’attacco dei tagliagole di mullah Omar è stato respinto dopo diverse ore di battaglia. Non è escluso che siano intervenuti anche i caccia bombardieri della Nato. Il comando del nostro contingente ad Herat si ostina a non fornire alcuna informazione su vittime, feriti o prigionieri talebani, ma le cosiddette «forze ostili» devono avere subito ingenti perdite. A tal punto che in un comunicato i militari italiani mettono le mani avanti sottolineando che «nell’azione non risulta esserci stato coinvolgimento di civili».

La battaglia è scoppiata giovedì, quando i talebani hanno attaccato in forze il presidio di Shewan, un caposaldo difeso dalle forze di sicurezza afghane in collaborazione con le truppe multinazionali presenti nell’ostica provincia. Il presidio era stato messo in piedi il 14 agosto lungo la strada principale di Farah, che porta al capoluogo della provincia. L’intenzione era di tenere libera la strategica arteria minacciata dai talebani, che si sono rinforzati con i tagliagole fuggiti dalla vicina provincia di Helmand, dove i soldati inglesi hanno scatenato da mesi una pesante offensiva.
Giovedì il presidio stava per soccombere quando è intervenuta la Forza di reazione rapida, composta da italiani e spagnoli, che già stava svolgendo un’operazione di sicurezza nella zona. I militari, sotto il comando del generale degli alpini Fausto Macor, sono arrivati sul posto via terra a bordo dei veicoli Lince, finiti più volte negli ultimi tempi in imboscate dei talebani, che per fortuna hanno provocato solo feriti non gravi. «I militari della coalizione sono stati accolti da un nutrito fuoco», si legge nel comunicato reso noto dal quartier generale di Herat. I talebani evidentemente non volevano mollare la presa e si sono alzati in volo i Predator, da poco giunti nell’Afghanistan occidentale. I velivoli senza pilota hanno mandato in tempo reale al comando di Herat le immagini della battaglia e individuato gli obiettivi da colpire. La situazione era tale che è stato deciso l’utilizzo di due elicotteri da attacco Mangusta, che secondo il capitano Andrea Salvador, portavoce del contingente italiano, «non hanno sparato, ma sono serviti a dimostrare la nostra forza». Difficile però che i talebani siano fuggiti solo alla vista degli elicotteri. Gli scontri a terra devono essere stati intensi e alla domanda se fossero intervenuti i caccia bombardieri della Nato il portavoce non ha né confermato, né smentito trincerandosi dietro a un secco «non ho informazioni a riguardo». I caccia della Nato avevano già bombardato nella provincia di Farah il 6 settembre. Nell’attacco erano stati centrati due veicoli carichi di gente armata nel villaggio di Sabzgazy. Tutti gli occupanti sarebbero morti. Per la battaglia di giovedì è impossibile avere alcuna stima sulle perdite fra i talebani, ma i militari italiani tengono a ribadire che «nell’azione non sono rimasti coinvolti civili».

Come nell’ultima imboscata nella valle di Musahi, vicino a Kabul, quando un soldato italiano rimase ferito a una gamba durante un “contatto”, ovvero uno scontro a fuoco durato venti minuti, tutti fanno finta che fra le forze ostili non ci siano vittime. Secondo la censura imposta dal ministro della Difesa, Arturo Parisi, i soldati italiani in Afghanistan partecipano solo a una missione di pace, portando caramelle ai bambini, nel contesto dei lodevoli interventi umanitari dei reparti Cimic. Evidentemente i nostri ragazzi, a cominciare dai piloti dei Mangusta, quando sono costretti a intervenire in azioni di guerra sparano “caramelle”, anziché proiettili di piombo.

L’aumento delle attività nelle zone controllate dagli italiani, come aveva rivelato agli inizi di settembre il Giornale, è dovuto alla pressione militare inglese e americana. Ieri lo ha confermato il comando Nato a Kabul. «Stiamo spingendo i ribelli fuori dall’Est e dal Sud dell’Afghanistan», ha detto Claudia Foss, portavoce della missione Isaf. «Non neghiamo che questo a volte comporta lo spostamento dei ribelli in regioni dove la loro presenza è stata finora meno evidente», ha aggiunto la Foss.

Le fonti Nato confermano che «come effetto collaterale indesiderato dei successi della coalizione notiamo lo spostamento di guerriglieri dal Sud all’Ovest, in particolare da Helmand a Herat», dov’è dislocato il contingente italiano con un migliaio di uomini.

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