I tassisti perdono la liquidazione

Ho aspettato qualche giorno dal 30 giugno (data di emanazione del decreto legge sulla competività firmato Prodi e Bersani) per capire meglio quanto stabilito e soprattutto riflettere sulle reazioni scatenate, la più eclatante delle quali è quella messa in atto dai tassisti, che hanno spontaneamente manifestato nei giorni scorsi, lo stanno tuttora facendo e lo faranno se non verranno ascoltate le loro ragioni. La prima considerazione è che il decreto è scattato come un fulmine a ciel sereno, senza seguire quei metodi preventivi di concertazione e dialogo che si attendono da un governo di sinistra, tanto che la presunta mancanza di essi era ritenuta una delle maggiori colpe del governo Berlusconi. L'impressione che se ne ricava è che il governo Prodi voglia dialogare solo con la potente Triplice, sempre superascoltata, e non con categorie di lavoratori autonomi. Non voglio affrontare il discorso su altri settori considerati nel decreto anche se ritengo che farmacisti e notai siano tra i principali esponenti di quella solida borghesia che tanto ha contribuito allo sviluppo di ampi settori della nostra economia (in parole semplici guadagnano ma investono fortemente), ma soffermarmi sul settore dei tassisti, anche perché lo conosco da molto tempo come cliente ed ho avuto modo di ascoltare spesso le loro ansie e le loro preoccupazioni, in quanto a Roma, quando era sindaco l'onorevole Rutelli, era già stato fatto un tentativo di presunta liberalizzazione fortemente avversato e infine bloccato.
Riporto una frase scritta su un volantino distribuito a Roma dai tassisti: «Anche noi vogliamo migliorare il servizio all'utenza, ma non sono questi i modi, non crediamo di essere il problema dell'economia italiana, siamo dei lavoratori che quotidianamente cercano di sbarcare il lunario, non certo una lobby come si vuol far credere». Io credo che nessuno conosca tassisti che sono diventati ricchi, ma solo persone che lavorano molte ore al giorno, tavolta in condizioni di pericolo, e che, se arrivano a cedere la «licenza», ne ricavino quello che per gli altri è una liquidazione. Il governo dice di voler combattere il precariato, ma con questo decreto si rischia di trasformare tassisti imprenditori di loro stessi in dipendenti precari di società di capitali con più licenze. La liberalizzazione, dove attuata in Europa (Svezia e Olanda) ha comportato uno scadimento del servizio dei cittadini. Inoltre non si possono fare confronti con città come New York e Londra, dove è assai limitato l'uso dei mezzi privati per cui il taxi è usato da tutti, e città italiane dove il ricorso a taxi è considerato un lusso o un obbligo in particolari situazioni.
Se delle persone protestano perdendo giornate di lavoro autonomo, significa che vedono veramente a rischio la loro situazione lavorativa. Forse amministrazioni di grandi città dovrebbero contribuire ad agevolare l'uso del taxi con interventi strutturali nel campo della viabilità, che renderebbero più veloci le corse dei taxi.

Quindi niente fumo negli occhi, colpendo i tassisti, quando c'è tutto un mondo da liberalizzare in settori come i trasporti, la telefonia, l'energia, l'università, i grandi monopoli commerciali, e tutta una serie di «lobby» da aprire, a cominciare proprio dalla politica.
Deputato Forza Italia
Segretario VIII° Commissione

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