
In un Paese che vanta una delle culture gastronomiche più ricche al mondo, dove il cibo è identità, tradizione e arte quotidiana, esiste un paradosso tanto doloroso quanto silenzioso: lo spreco alimentare sistemico che avviene ogni giorno nelle mense scolastiche, aziendali e pubbliche. È un fenomeno che raramente fa notizia, ma che ha numeri impressionanti: ogni anno, in Italia, oltre 38.000 tonnellate di cibo perfettamente commestibile vengono buttate via solo all’interno dei servizi di ristorazione collettiva.
Un’enormità che rappresenta un danno etico, economico e ambientale. Ogni vassoio non consumato in una scuola, ogni piatto lasciato intatto in una mensa aziendale, ogni avanzo che finisce nel bidone dell’umido in un ospedale o in una caserma, raccontano una storia di inefficienza e disattenzione. Secondo i dati nelle scuole italiane si spreca una buona parte del cibo servito. Nelle mense aziendali, lo spreco scende ma resta comunque elevato. Nelle strutture sanitarie e assistenziali pubbliche, dove il contesto è più complesso e il dialogo con l’utente spesso assente, si possono raggiungere picchi altissimi spesso non ben documentati.
Le cause sono numerose e si intrecciano in un sistema rigido e poco flessibile. Le porzioni sono spesso standardizzate, senza tenere conto dell’età o dell’appetito reale degli utenti. I menù vengono decisi dall’alto, con poca partecipazione da parte di chi quei pasti dovrà effettivamente mangiarli. I bambini, per esempio, si ritrovano davanti piatti poco appetibili o troppo abbondanti, che finiscono interi nei rifiuti. Le normative sanitarie, poi, paradossalmente impediscono spesso la ridistribuzione del cibo avanzato per ragioni di tracciabilità e responsabilità civile. Basta una giornata con meno presenze, un errore nella comunicazione o una variazione d’orario perché si generi un surplus ingestibile. A tutto questo si aggiunge la mancanza di educazione alimentare, soprattutto nelle scuole: si serve “cibo sano” senza accompagnare bambini e ragazzi in un percorso di comprensione e consapevolezza del gusto.
Il risultato? Verdure di ottima qualità che finiscono direttamente nella spazzatura. Questo spreco ha un costo invisibile ma enorme. Si traduce in migliaia di euro gettati ogni giorno, in energia sprecata per cucinare cibo che non verrà mai mangiato, in tonnellate di CO₂ emesse inutilmente, in acqua, suolo e risorse agricole impiegate per nulla.
Ogni pasto buttato rappresenta il fallimento di un’intera filiera: dalla semina alla raccolta, dal trasporto alla cottura. Secondo gli studi ogni tonnellata di cibo sprecato equivale a quasi quattro tonnellate di CO₂ immesse in atmosfera. In un anno, solo lo spreco delle mense pubbliche equivale alle emissioni di una città di medie dimensioni.
Per fortuna qualcosa si muove. Alcune start-up e progetti virtuosi stanno cercando di ridurre questo spreco sistemico. Una delle esperienze più promettenti è quella di BringTheFood, piattaforma sviluppata dalla Fondazione Bruno Kessler di Trento, che permette alle mense di donare in tempo reale il cibo avanzato ad associazioni di volontariato locale, rispettando tutte le normative igienico-sanitarie. Esistono poi cooperative sociali che ritirano i pasti non distribuiti nelle mense aziendali e li riconfezionano per consegnarli a chi ne ha bisogno. Alcune scuole stanno sperimentando metodi più diretti, come il “pasto a scelta”, che consente agli studenti di selezionare tra più opzioni in quantità contenute, riducendo così gli avanzi.
In diversi comuni è stato introdotto il “cestino antispreco”, che permette ai bambini di portare a casa frutta o pane non consumati. Ma queste sono ancora eccezioni. La lotta allo spreco alimentare nelle mense italiane non può più essere una questione marginale. Occorre una riforma strutturale, una rivoluzione culturale e logistica che coinvolga ministeri, amministrazioni locali, scuole, aziende, strutture sanitarie e l’intera società civile. Bisogna ripensare da cima a fondo il modo in cui organizziamo, serviamo e consumiamo i pasti fuori casa. Non solo per efficienza ma soprattutto per responsabilità.