I testimoni smentiscono l’accusa Così crolla il processo Fortugno

Alle prime udienze vacillano i riscontri dei pentiti a carico degli imputati del delitto di Locri

I testimoni smentiscono l’accusa Così crolla il processo Fortugno

nostro inviato a Locri

Siamo ancora alle prime udienze ma il processo per l’omicidio del vicepresidente del consiglio regionale calabrese, Franco Fortugno, ha le fondamenta d’argilla. Le certezze dell’accusa non sono più tali, i riscontri della prima ora sembrano non reggere il riscontro dibattimentale, nuove piste vengono prese sul serio soltanto adesso. Per fare un sunto del disastro annunciato occorre partire dal movente che, secondo gli inquirenti, sarebbe da ricollegare alla vittoria di Fortugno alle Regionali 2005 poco gradita al caposala della Asl di Locri, Alessandro Marcianò, «grande elettore» del discusso Domenico Crea, subentrato proprio a Fortugno dopo l’agguato alle primarie dell’Ulivo del 16 ottobre 2005 a Locri. In barba alle ferree regole della ’ndrangheta, secondo cui per commettere un delitto «eccellente» bisogna ottenere l’ok della Commissione e affidarsi a sicari professionisti (da arruolare fuori provincia) l’incesurato Marcianò coadiuvato da un gruppo di balordi di paese, tra cui suo figlio, avrebbe ucciso Fortugno per ingraziarsi il primo dei non eletti che ad oggi non risulta nemmeno indagato.
Se Alessandro Marcianò è considerato il mandante, al figlio Giuseppe hanno cucito addosso l’etichetta di «compartecipe dell’omicidio» grazie alla balbettante confessione del pentito Domenico Novella, salvo poi correre a cambiare capo d’imputazione, e retrocederlo a «co-mandante» insieme al papà, allorché il ragazzo ha esibito la prova documentale e testimoniale che al momento dell’esecuzione si trovava a decine di chilometri dal luogo del delitto, in un supermercato di Cinquefrondi. Prendiamo poi il presunto killer, Salvatore Ritorto. Se i pentiti puntano il dito su di lui, i tre testimoni oculari lo scagionano. Antonio Alvaro, Nicodemo Piccolo e Giuseppe Lombardo vedono un assassino alto 1.65 cm, di corporatura snella, esile. Ritorno sfiora invece il metro e ottanta, è di corporazione robusta, «un palestrato». Ritorto è in cella anche perché gli inquirenti hanno sottolineato la sua inspiegabile disponibilità di denaro - quale supposto compenso per l’assassinio - favoleggiando su cifre stellari. S’è scoperto invece che la Bmw da sogno acquistata dal presunto sicario in realtà era di terza mano, pagata appena 3mila euro, e che i fantasmagorici lavori nel suo appartamento non arrivano a 4mila euro. E ancora. Ritorto dopo l’omicidio sarebbe scappato a bordo di una Fiat Uno di colore bianco, poi rinvenuta a Locri. Nell’auto, però, non è stata trovata alcuna impronta, e ciò dovrebbe far pensare visto che l’omicida di Fortugno impugnava la pistola senza guanti (ed e impensabile che se li sia infilati una manciata di secondi dopo). Come se non bastasse a fronte di altri testimoni che hanno parlato di una A112, in aula il maresciallo Guarnieri ha riferito di aver appreso, nell’immediatezza del delitto, che «il killer era scappato su un’auto di colore nero», non bianca. Un rompicapo. Come quello del giovane dalle caratteristiche somatiche più vicine a un cittadino dell’est che a un calabrese, che siedeva in disparte, nel seggio dell’Ulivo, e che è scomparso poco prima degli spari. Ne fanno cenno in tanti, comprese le sorelle Buccisano: «Aveva occhi di ghiaccio. Stava lì senza fare niente, non voleva votare, poi è svanito... ». L’uomo misterioso potrebbe essere quel Florentin Varvaruc, romeno, fratello della fidanzata del pentito Novella (ma di questo il collaborante non parla), volatilizzatosi dopo l’omicidio in concomitanza con le tardive indagini sugli squilli in codice effettuati nella zona e all’ora dell’omicidio da schede sim intestate a cittadini dell’est. Trilli alternati, della durata massima di un secondo.

Tra colpi di scena e scivoloni dell’accusa, si inserisce infine l’ultimo tentativo di salvare il processo: due poliziotti si sono recati segretamente in carcere per convincere il presunto autista del commando a pentirsi in cambio di un trattamento di favore. L’imputato Domenico Audino ha spiattellato tutto in aula. Sono in corso indagini imbarazzanti.

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