I tre giusti che credevano negli ideali

I tre giusti che credevano negli ideali

Silvia Pedemonte

Al secondo atto, la conferma. La conferma che quell’aria - particolare e bellissima - che si era respirata in ottobre, nel convegno dedicato all’«altra Resistenza» raccontata nell’inchiesta de «Il Giornale» continua a soffiare forte, nella Sala Liguria Spazio Aperto di Palazzo Ducale, durante gli «Incontri con la storia» promossi dalla Fondazione Colombo. La conferma che quell’aria è particolare e bellissima perché fatta di dialogo, voglia di scoprire, sguardi interrogativi e posizioni mai compiacenti. Aria di dibattito, insomma, in una stanza dai metri quadrati e dalle sedie sempre insufficienti. Perché tanti chiedono riparo, per respirare aria diversa da quel Maestrale che imperversa sulla città, e bussano alla porta. E il presidente della Fondazione Colombo, Mario Bozzi Sentieri, accoglie gli ospiti e non delude. Così, prima mette in tavola uno degli argomenti più spinosi, per la città: la morte di Aldo Gastaldi, «Bisagno», primo partigiano d’Italia, comandante della divisione «Cichero», simbolo della Resistenza, di tutto quello che fu la Resistenza nella gloria e negli abissi oscuri che, ancora oggi, guai a cercare di fare un po’ di luce. Poi, fa sedere dietro un tavolo cinque Pensanti, a ragionare. Il punto di partenza è l’opera di Luciano Garibaldi, giornalista e storico che dopo aver insinuato una manciata di dubbi spinosi sulla morte di Mussolini e la Petacci (in La pista inglese - 2002, Edizioni Ares) ed essersi così trasformato in «Musa» ispiratrice per il regista Renzo Martinelli (che ha acquistato i diritti del libro, per farne un film), ha scelto un’altra pista intrisa di incongruenze, ovvero le morti misteriose de «Il Capitano» Ugo Ricci, di Edoardo Alessi «Marcello» e di «Bisagno», appunto, e ne ha fatto un libro («I Giusti del 25 aprile - Chi uccise i partigiani eroi? - 2005, Edizioni Ares). Il punto di arrivo, il confronto.
Fatto anche di posizioni come quella di Edoardo Guglielmino, scrittore ventenne all’epoca della morte di Bisagno che, al secondo round, tanto ha del miglior Plinio castigamatti (mutata mutandis, naturalmente) e arriva battagliero: «Voi fate le vostre inchieste, ma anche io scopro tante cose - esordisce - e oggi, certo, non farò i complimenti come durante l’incontro di ottobre». Ascolta tutti con aria attenta, Guglielmino; quando è il suo turno, prende il microfono e affonda: «Pochi giorni fa, un celebre medico genovese che ha avuto come pazienti tre ragazzi di allora, Dorino, Filippazzi e Barbera e ne ha raccolto le testimonianze, mi ha confermato che “Bisagno” è davvero scivolato dal tettuccio di quel pulmino. Ora, si può dire tutto, di quel mistero che a tanti sembra insolubile: tutto, tranne che sia una vicenda in grado di prestarsi a interpretazioni fantasiose».
Di fantasioso, però, Garibaldi nel suo libro non ha messo proprio nulla: «Ho voluto semplicemente mettere in risalto tre giusti che mi hanno da subito affascinato perché monarchici convinti, come me» spiega Garibaldi. «Ma, soprattutto, perché cattolici. Profondamente cattolici. Come Marco Ricci, che la fidanzata nemmeno la toccava, da quanto credeva nel sacro vincolo del matrimonio. O come Edoardo Alessi, che faceva recitare ai suoi un giuramento che si concludeva inneggiando alla pace e a Cristo («Nel nome dell’Italia, nel nome dei caduti che vogliono pace e non sangue e nel nome di Cristo redentore»). O, infine, come Aldo Gastaldi, «Bisagno»: il codice di Cichero vietava nella maniera più assoluta di sfiorare le donne che non ne avevano il desiderio. E di bestemmiare».
Tre eroi, Ricci, Alessi, Gastaldi: «Di loro, mi ha toccato profondamente il loro voler dire sempre “no” alla vendetta e al sangue; - continua Garibaldi - di loro, mi ha commosso il pensiero di quanto poteva essere meravigliosa, la Liberazione, senza il sangue dei vinti».
Quel sangue dei vinti sparso a profusione, dopo «una lotta che doveva e poteva finire il 25 aprile per ricostruire un nuovo percorso nazionale. Evidentemente per motivi politici e ideologici quella “tappa odiosa” di sangue e guerra civile era necessaria, indispensabile» sottolinea Bozzi Sentieri, quasi introducendo il ragionamento di Giovanni Battista Varnier, docente Relazioni Stato-Chiesa dell’Università di Genova pronto a sottolineare le tre guerre in una che si combatterono contemporaneamente con disegni ben differenti. In quelle ragnatele tessute con precisione, rimasero invischiati i tre eroi. Perché scomodi. Perché distillato puro di Resistenza, gocce di ideali nel mare dell’ideologia.
E allora restano dubbi che sembrano certezze, in un grido: quel «Tradimento!» ultima parola di Ugo Ricci, prima di spirare. «Perché anche se esistono tre versioni sulla sua morte - conclude Alessandro Rivali, coautore del libro di Garibaldi insieme a Riccardo Caniato e Luigi Confalonieri - l’ultima parola che Ricci pronunciò fu sicuramente questa. Tradimento».


E allora resta una convinzione: che «Alessi, Gastaldi, Ricci sono degni di una considerazione sacra - afferma Piero Vassallo, scrittore e docente emerito presso la Facoltà di teologia del Nord Italia - perché avevano un codice morale che dipendeva dal Vangelo. Non dalla ideologia. Questo, dobbiamo imparare dai tre eroi, per arrivare a una pacificazione della memoria e superare quella “cappa di piombo” che ancora ci assale».

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