Antonio Lodetti
«Un disco costruito con amore, un progetto nato allimprovviso e quindi puro, spontaneo e da cogliere al volo», racconta Peter Hammill del doppio cd Present, lalbum che ha segnato il ritorno sulle scene dei Van Der Graaf Generator dopo ventotto anni dallo scioglimento ufficiale.
«Se i Van Der Graaf non fossero tornati adesso, non lo avrebbero fatto mai più», chiosa Hammill, leader incontrastato di questi antieroi del progressive rock inglese. È lui che nel 1977, dopo The Quite Zone, ha imboccato unirreversibile strada da esploratore solitario.
Due anni fa, durante un suo concerto alla londinese Queen Elizabeth Hall, salgono sul palco i suoi vecchi compagni davventura: Hugh Banton alle tastiere e al basso (anche se il bassista Nic Potter è considerato il quinto Van Der Graaf ad interim), David Jackson ai fiati (che alterna lattività di musicista allimpegno sociale a supporto dei portatori di handicap), Guy Evans alla batteria. I vecchi fan sognano la reunion, ma lo spirito libero di Hammill ha bisogno di altro tempo prima di riaccendere il «generatore».
Ora è arrivato il momento. Present è uscito in aprile; il 6 maggio sono tornati agli spettacoli dal vivo debuttando sontuosamente alla Royal Festival Hall di Londra e stasera sbarcano a Milano, ospitati addirittura dal Conservatorio per la rassegna «Diversi suoni».
Cè grande entusiasmo attorno ai Van Der Graaf; non vendono milioni e milioni di dischi come Genesis, Yes, Emerson Lake & Palmer, ma il loro Pawn Hearts è considerato uno degli album qualitativamente più importanti dellintero movimento progressive. Poi loro sono diversi dalle altre band; non raccontano un mondo di fiabe (alla Genesis o alla Gentle Giant)ma vivono il dolore cosmico, il disagio esistenziale, lintroversione come trasformata in tensione espressiva.
«Abbiamo scritto pezzi nuovi per dimostrare che siamo vivi e ben calati nella realtà, ma dal vivo eseguiremo anche i nostri classici, che il pubblico non ha mai dimenticato».
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