Ichino cita l’articolo 18 e scoppiano i mal di pancia

Il giuslavorista, candidato al Senato, tocca un tabù. Treu: «Non c’è bisogno di riaprire una polemica»

da Roma

Il suo nome, fortemente voluto da Walter Veltroni, è il fiore all’occhiello del nuovo riformismo Pd: «Pietro Ichino ha detto cose coraggiose, a volte difficili, e sta a pieno titolo nel solco del riformismo», assicura il leader democratico.
E lui, il giuslavorista Ichino, l’editorialista del Corriere della Sera che vive sotto scorta da quando è stato ucciso il suo amico Marco Biagi e si è scoperto che anche lui era nel mirino delle Br, si mostra ottimista dopo aver accettato la candidatura al Senato: «Rispetto alla vecchia sinistra, che su questi temi non riesce a ragionare pacatamente, e sa soltanto erigere dei tabù, dei veti ideologici, la grande novità sta nel fatto che nel Pd il dibattito è e resterà aperto e pragmatico».
Eppure, è bastato che sfiorasse uno di quei «tabù» perchè, anche nel Pd, scattasse subito l’allarme. Già, il professore si è limitato ad evocare la possibilità di ridiscutere l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e ad ipotizzare una «grande intesa tra imprese e lavoratori» per modificare gli attuali modelli contrattuali. Ma tanto è bastato perchè da sinistra si scatenasse su di lui una vera guerra di religione («Servo dei padroni», lo ha bollato con linguaggio para-brigatista il Pdci Marco Rizzo) e perchè dentro il Pd molti entrassero in agitazione. «Ichino parla a titolo personale. Non c’è bisogno di riaprire la polemica sull’articolo 18», si affretta a frenare Tiziano Treu.

«È giusto - dice Paolo Nerozzi, ala Pd della Cgil - che in un grande partito ci siano voci diverse, ma per me il problema dell’articolo 18 si è chiuso il 23 marzo 2002», ossia il giorno dell’adunata cofferatiana al Circo Massimo. «Se si candida, Ichino dovrebbe essere indotto a più cautela - tuona da fuori il capo della Cisl Bonanni - e invece vedo che prevale il protagonismo e non il servizio alle persone».

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