da Roma
Il suo nome, fortemente voluto da Walter Veltroni, è il fiore allocchiello del nuovo riformismo Pd: «Pietro Ichino ha detto cose coraggiose, a volte difficili, e sta a pieno titolo nel solco del riformismo», assicura il leader democratico.
E lui, il giuslavorista Ichino, leditorialista del Corriere della Sera che vive sotto scorta da quando è stato ucciso il suo amico Marco Biagi e si è scoperto che anche lui era nel mirino delle Br, si mostra ottimista dopo aver accettato la candidatura al Senato: «Rispetto alla vecchia sinistra, che su questi temi non riesce a ragionare pacatamente, e sa soltanto erigere dei tabù, dei veti ideologici, la grande novità sta nel fatto che nel Pd il dibattito è e resterà aperto e pragmatico».
Eppure, è bastato che sfiorasse uno di quei «tabù» perchè, anche nel Pd, scattasse subito lallarme. Già, il professore si è limitato ad evocare la possibilità di ridiscutere larticolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e ad ipotizzare una «grande intesa tra imprese e lavoratori» per modificare gli attuali modelli contrattuali. Ma tanto è bastato perchè da sinistra si scatenasse su di lui una vera guerra di religione («Servo dei padroni», lo ha bollato con linguaggio para-brigatista il Pdci Marco Rizzo) e perchè dentro il Pd molti entrassero in agitazione. «Ichino parla a titolo personale. Non cè bisogno di riaprire la polemica sullarticolo 18», si affretta a frenare Tiziano Treu.
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