Gian Marco Chiocci
da Roma
Sono lontani i tempi in cui Giorgio e Luciana Alpi, genitori di Ilaria, ringraziavano con le lacrime agli occhi l«amico» Carlo Taormina per il lavoro della Commissione parlamentare dinchiesta sulla morte della loro figliola, giornalista del Tg3, e del suo operatore. Era il 17 marzo 2005. Ieri, a sorpresa, in una lettera al presidente della Camera, il papà della cronista uccisa ha paventato il «pericolo di inquinamento dellindagine» per «le pubbliche anticipazioni del presidente Carlo Taormina in merito ai risultati che egli sostiene siano stati raggiunti dalla Commissione». Nel jaccuse si fa poi riferimento ad una lettera che il legale di famiglia ha inviato per «dimostrare che il teorema dellon. Taormina, secondo cui la morte di nostra figlia sarebbe stato un evento casuale non collegabile allattività giornalistica da loro svolta, è fondato su congetture illogiche e contrastate da precisi elementi probatori».
Il primo atto con cui i coniugi Alpi e lavvocato si troveranno a fare i conti è una querela per diffamazione che Taormina ha annunciato in una missiva a Casini. Il presidente della Commissione si rifà alla «svolta obiettiva, reale, concreta» delle indagini, costituita dal ritrovamento della Toyota dellagguato attraverso cui una perizia della Polizia scientifica (e non la Commissione) ricostruisce «in maniera incontrovertibile - scrive Taormina - che la giornalista non fu vittima di unesecuzione con un colpo a contatto» ma di una sventagliata di mitra «dopo che luomo della scorta ebbe la sventatezza di sparare per primo. Questa verità cozza con le convinzioni coltivate per undici anni e non è digerita da nessuno, a partire dai coniugi Alpi, che mi hanno accusato di essere al servizio di qualche interesse, con riferimento alla filiera De Michelis-Craxi-Berlusconi». Se agli Alpi danno solidarietà i parlamentari del centrosinistra Pecoraro Scanio, Bulgarelli e Battisti, «stupito» da toni e contenuti «ingiusti e fuori luogo» della lettera si dice Fragalà (An): «La Commissione non cerca una verità di comodo». Una verità che per quasi due anni lorganismo ha cercato con volontà unanime, da destra a sinistra, giungendo a disporre con il consenso dellopposizione persino la perquisizione di due giornalisti e tre poliziotti di Udine. Numerose le relazioni e le notizie di reato segnalate allautorità giudiziaria con deliberazione unanime, monitorati oltre ogni immaginazione tutti i passi investigativi che hanno portato al sequestro dellauto, al ritrovamento di un testimone ora sotto protezione, alla clamorosa smentita di una pubblicistica decennale crollata al vaglio della magistratura.
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