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Imi-Sir, gli avvocati dell’ex ministro denunciano gravi violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. «Incostituzionale non applicare la Cirielli» Previti, ricorso alla Ue contro la condanna

La difesa: la Cassazione ha ignorato «arbitrariamente» di attendere la decisione della Consulta sull’applicazione della prescrizione. «Negato il diritto comunitario»

da Roma

Sul sito Internet dell’onorevole Cesare Previti è stato pubblicato il testo del ricorso presentato, con l’assistenza del professor Nicolò Zanon, alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro la sentenza della Corte di Cassazione che nel processo Imi-Sir lo ha condannato a sei anni di reclusione. Nel ricorso si precisa che, anche se la motivazione non è stata ancora depositata e non è perciò possibile denunciare le numerose violazioni processuali commesse dai giudici milanesi, il dispositivo di condanna è sufficiente per giustificare la denuncia di una gravissima violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. È noto che la legge Cirielli, alla fine del 2005, ha previsto la riduzione dei termini di prescrizione di molti reati (tra i quali quelli contestati all'onorevole Previti), ma ha escluso, dopo un aspro confronto parlamentare, dalla nuova disciplina i reati per i quali è cominciato il relativo processo.
Molti giudici hanno subito sollevato la questione di costituzionalità di questa esclusione osservando che la prescrizione è prevista perché la legge ritiene che, passato un certo tempo dalla commissione del reato, non ha senso punirlo in quanto è cessato l’allarme sociale provocato dal reato: come è possibile, si sono chiesti i giudici (e molti altri in seguito), dire che solo perché il processo è cominciato esiste ancora l’allarme sociale per reati che sono prescritti se il processo non è cominciato? Che c’entra l’inizio del processo con l’allarme sociale provocato dalla commissione del reato, dal momento che il termine di prescrizione è collegato al momento in cui il reato è stato commesso?
È sensato che due imputati che, nello stesso luogo e nello stesso giorno, hanno commesso lo stesso reato siano trattati diversamente - uno assolto e l’altro condannato - per fatti del tutto casuali, ad esempio solo perché uno ha avuto la fortuna e l’altro la sfortuna di capitare con un pubblico ministero più o meno veloce o con un avvocato capace di ritardare le formalità di apertura del dibattimento? Nel suo ricorso l’onorevole Previti ricorda che la questione di costituzionalità fu sollevata dai suoi difensori in Cassazione, ma che la Corte si rifiutò di prenderla in esame subito e di attendere, con la sospensione di poche settimane, la decisione della Corte costituzionale, inizialmente prevista per lo scorso 7 giugno; e ciò perché se la Corte costituzionale avesse dichiarato incostituzionale la norma, la Cassazione non avrebbe potuto emettere la sua condanna e perché, aggiunge, la sentenza di condanna emessa in ultimo grado non è toccata dalla dichiarazione di incostituzionalità successiva.
Questo «rifiuto arbitrario» della Cassazione, dice il ricorso, è di inaudita gravità perché non soltanto si è voluto deliberatamente ignorare una questione di costituzionalità certamente seria e si è voluto arrivare comunque alla condanna, ma anche perché la Cassazione ha ignorato un fondamentale principio europeo, consacrato nella Carta di Nizza e nel Trattato costituzionale europeo, vincolante per tutti i giudici d’Europa.

La Corte di giustizia dell’Unione europea, infatti, ha affermato, a metà del 2005, che «il principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite fa parte delle tradizioni costituzionali degli Stati membri» e che «questo principio deve essere considerato come parte integrante dei principi generali del diritto comunitario che il giudice nazionale deve osservare»: è indiscutibile, osserva l’onorevole Previti, che il principio della pena più mite riguarda anche la prescrizione come il meno sta nel più, perché da essa dipende addirittura la non punibilità e non soltanto l’applicazione di una pena più lieve.

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