Garantire agli stranieri lintegrazione, a patto che questa sia legata al lavoro. Riconoscere ai cittadini di altri Paesi tutti i diritti: quelli fondamentali, come la salute, la sicurezza nel posto di lavoro e la giusta retribuzione, ma anche alcuni specifici, ritagliati sulla loro condizione. La permanenza degli stranieri in Italia deve comunque essere legata a un patto del quale deve fare parte il riconoscimento e il rispetto della nostra identità nazionale. E poi la conoscenza della nostra lingua.
Non è ancora pronto. Ma le linee guida di quello che il ministro del Lavoro ha già chiamato «Piano nazionale per lintegrazione, identità e incontro» sono più o meno note. Ieri Maurizio Sacconi ha detto sarà approvato presto. Perché «una robusta politica dellintegrazione è laltra faccia della medaglia della sicurezza». Ricalcherà delle linee che il ministro ha già descritto in passato. E quando lo ha fatto, Sacconi ha sempre tenuto a precisare che ci sono almeno tre modi di fare integrazione. Due sbagliati e uno giusto. Il primo si basa su un «multiculturalismo indifferente», secondo il quale le identità non contano e quindi anche lintegrazione avviene senza un punto di riferimento.
Allopposto cè la «assimilazione arrogante», dello «stato militante laicista», che nega lespressione di tutte le identità religiose e culturali, le relega alla sfera privata e punta alla progressiva sterilizzazione di ogni identità. Il risultato è in entrambi i casi una «ghettizzazione perfetta». La «via italiana», che è visibile in provvedimenti già adottati, ma che sarà codificata con il Piano «identità e incontro», si muoverà lungo due dimensioni. Fermezza e rigore contro la clandestinità e integrazione fondata sulla conoscenza e il rispetto della nostra identità.
Fino ad ora la clandestinità è stata tollerata e questo ha creato «un disordine che deresponsabilizza l'immigrato e induce chiusura nella comunità di accoglienza». Tornare indietro, aveva spiegato Sacconi nel novembre scorso ad un forum delle associazioni cattoliche di lavoratori, sarà un «percorso inesorabilmente aspro». I flussi, insomma, andranno governati e programmati. Fa parte del piano il permesso di soggiorno a punti già previsto dal decreto sicurezza. Un «accordo» tra istituzioni e immigrato che non potrà essere solo simbolico.
Lo scambio consiste nel fatto che le istituzioni dovranno garantire una «effettiva opportunità all'integrazione», assicurando la parità di accesso al lavoro ai cittadini stranieri. Parità anche nellaccesso alla conoscenza e alle prestazioni sociali. Gli immigrati dovranno in cambio impegnarsi su tre punti: losservanza delle regole, il rispetto dell'identità nazionale e la conoscenza della lingua. Nel piano dovrebbe trovare anche la questione abitativa, che è uno dei presupposti fondamentali per una buona integrazione.
Il Piano nazionale terrà poi conto dei diversi tipi di immigrazione. Cè chi si vuole stabilire definitivamente da noi; chi considera lItalia una tappa. E chi, invece, vuole tornare a casa dopo avere imparato un lavoro o messo da parte dei soldi. A tutti dovranno essere garantiti i requisiti fondamentali nel lavoro: salute, sicurezza, occupabilità e una giusta remunerazione. Poi, specialmente per chi vuole tornare indietro, dovranno essere studiate particolari forme di previdenza. Sacconi non è mai entrato nel merito, ma è facile intuire che si tratta di un riferimento ai contributi versati dagli stranieri.
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