Immigrazione: più quote per i cristiani

Livio Caputo

Partiamo dai dati forniti dal ministro degli Interni Pisanu nel corso della recente Conferenza sulla sicurezza organizzata a Milano dalla Fondazione Novarespublica. I musulmani risiedenti legalmente in Europa sono oggi 18-20 milioni. Tra dieci anni saranno il doppio, e rappresenteranno il 10 per cento della popolazione (sempre che, nel frattempo, non si aprano le porte dell’Unione a Paesi islamici, come la Bosnia o addirittura la Turchia, ndr). Gli immigrati di fede islamica sono concentrati soprattutto nelle aree metropolitane: a Rotterdam e Marsiglia sono già il 25 per cento, a Bruxelles il 15, a Parigi, Londra e Copenaghen il 10, a Milano e Roma non molti di meno. Ma a fare paura è stata soprattutto la previsione del ministro, che se continuerà il trend attuale «i musulmani sono destinati a diventare maggioranza in molte città del nostro continente». Non sarebbe cioè tanto lontano (due, tre generazioni?) il giorno in cui avremo, nei centri in cui questa immigrazione si concentrerà, sindaci musulmani, più moschee che chiese, una proliferazione di scuole coraniche e molti altri effetti traumatici: una prospettiva inquietante sotto ogni punto di vista, dalla minaccia alla nostra identità giudaico-cristiana all’accresciuto pericolo di infiltrazioni terroristiche, dal degrado delle nostre metropoli alle derive politiche dovute a una così forte presenza aliena.
La risposta politicamente corretta al fenomeno è «integrazione»: una via di mezzo tra una pericolosa ghettizzazione e una assimilazione culturalmente molto difficile. Le recenti vicende francesi e britanniche e l’esperienza quotidiana in Italia dimostrano tuttavia che una cosa è la teoria, un’altra la pratica; e che se questa integrazione può funzionare bene o male per i laici, è quasi impossibile per i credenti, perché il Corano stesso vieta ai buoni musulmani - e non solo ai fondamentalisti organizzatori di attentati - di sottomettersi al governo degli «infedeli». In pratica, essi non potranno mai diventare cittadini pienamente osservanti della legge. A suonare l’allarme, ormai, non sono più solo Oriana Fallaci e la Lega, ma molti altri politici, amministratori e semplici cittadini, di centrodestra e anche di centrosinistra. Prima di rassegnarsi al fatto compiuto, sembra perciò doveroso esplorare tutte le possibilità che l’Italia ha di contrastare e rallentare un processo che sfocerebbe inevitabilmente in una sconfitta per la nostra civiltà. Eccone alcuni esempi.
1) Seguire il consiglio del Cardinale Biffi e privilegiare, nello stabilire le quote per l’immigrazione regolare, i Paesi cristiani e le popolazioni che hanno dimostrato di sapersi integrare meglio nella nostra società. Una totale chiusura ai Paesi arabi non è politicamente praticabile e potrebbe avere pericolose ripercussioni, ma un «riequilibrio» non ce lo può impedire nessuno.
2) Applicare con più rigore le norme della legge Bossi-Fini sulla espulsione degli immigrati clandestini, che sono responsabili di buona parte dei reati e degli incidenti di cui sono piene le cronache. Qualche aggiustamento della normativa potrebbe essere utile.
3) Esercitare maggiore cautela nella concessione dei «ricongiungimenti familiari», attraverso i quali la comunità islamica ha avuto e avrà ancora più in futuro un grande e relativamente facile incremento.
4) Calibrare bene le misure di sostegno alla famiglia. Per ovvie ragioni gli immigrati saranno infatti molto più sensibili degli italiani agli incentivi economici - come i 2.500 euro che Prodi ha promesso per tre anni a ogni nuovo nato - con il risultato di finanziare addirittura l’aumento della popolazione di fede islamica con soldi del contribuente.
Qualcuno dirà che in questo modo si rischia di alimentare lo scontro di civiltà, ma è vero proprio il contrario. Lo scontro è (forse) evitabile se il fenomeno della immigrazione musulmana sarà contenuto, pilotato e diluito nel tempo. Diventerà più probabile se, come sembrano indicare le cifre di Pisanu, assumesse quasi il carattere di una occupazione.
livio.

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