Si appropriava, fingendo di contabilizzarle, del denaro versato dagli utenti per il pagamento delle bollette. Dopo sei anni di battaglia legale A.B., l'impiegata delle Poste lincenziata in tronco nell'agosto del 2003, è stata reintegrata ieri nel suo posto di lavoro. Lo ha deciso la sezione Lavoro della Corte d'appello che ha annullato il licenziamento e condannato le Poste italiane a rimettere al suo posto la donna, pagandole le retribuzioni mensili maturate dal giorno del licenziamento fino all'effettiva reintegra. Secondo il giudice di primo grado l'impiegata infedele si sarebbe appropriata dei soldi altrui in modo sistematico, lucido e consapevole. Nei suoi confronti le Poste avevano presentato una querela ed era cominciato un procedimento penale per appropriazione indebita aggravata. L'avvocato Gianluca Arrighi, difensore della donna, aveva chiesto e ottenuto una perizia psichiatrica che aveva invece dimostrato come A.B., al momento dei fatti, fosse affetta da un gravissimo disturbo ossessivo compulsivo che «aveva fatto fortemente scemare la sua incapacità di intendere e di volere». L'impiegata è stata quindi dichiarata seminferma di mente e condannata al minimo della pena. È stata proprio questa perizia psichiatrica, depositata nel processo di lavoro d'appello, a restituirle la sua professione.
«È una sentenza che correttamente prende atto di quelle che sono state le risultanze del processo penale - spiega l'avvocato Arrighi - La mia assistita nel tempo si è curata, oggi è completamente guarita e non vi era quindi alcuna valida ragione per cui non dovesse riprendere a svolgere il suo lavoro».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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