Imprese e consumatori: shopping Usa da saldi

Nella roulette un po’ taroccata delle valute, se la pallina si ferma sul super euro sono in genere dolori. Ma qualche beneficio c’è comunque. Lo scorso anno, per esempio, l’apprezzamento della moneta unica ha permesso un risparmio di 4,2 miliardi di euro sulla nostra fattura energetica, salatissima (56,7 miliardi, una cifra perfino superiore a quella dello choc petrolifero dell’81) a causa dei prezzi ipertrofici del greggio. Da questo punto di vista, una moneta forte è in grado dunque di stemperare il surriscaldamento delle materie prime (non solo quelle energetiche, ma anche quelle alimentari) e quindi di attenuare le spinte in avanti dell’inflazione.
Non tutte le aziende subiscono inoltre una penalizzazione dal cambio sfavorevole. Le importazioni di materiali dagli Stati Uniti sono ovviamente meno dispendiose: produrre costerà meno, e ciò darà un vantaggio competitivo, a patto di non voler calcare la mano sui margini di profitto. Ma non solo. Se un’impresa europea ha in progetto di acquisire un’azienda a stelle e strisce, questo è il momento più favorevole per farlo. A maggior ragione se l’acquisto fosse concluso indebitandosi in dollari, visto che i tassi americani sono praticamente azzerati.
Anche le agenzie di viaggio, pur perdendo buona parte del turismo in entrata, possono far leva sulla maggiore convenienza degli Stati Uniti e delle mete turistiche in cui il dollaro è la moneta di riferimento.

E per i maniaci dello shopping oltreoceano, l’euro forte è un’autentica manna. A patto di comprare direttamente sul posto: gli acquisti on line possono essere un affare, ma le spese di spedizione e quelle doganali rischiano di annullare l’effetto-cambio.

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