Imu, altra stangata alle imprese. E in Borsa è di nuovo paura

Il governo fa un passo indietro sull’annosa questione dell’articolo 18 e lo spiega con la stessa determinazione con cui poche settimane fa, presentando le sue proposte, aveva sostenuto che non lo avrebbe mai fatto. Con un’abile mossa tutta politica il governo Monti da una parte dà una mano al Pd e al suo segretario modificando la riforma, e dall’altra si porta a casa comunque una modifica dello Statuto dei lavoratori che potrà «rivendersi» in sede internazionale.
Il punto fondamentale è dato dalla possibilità di licenziamento per motivi economici. Nella prima bozza l’unica sanzione che l’imprenditore rischiava era un pesante indennizzo per licenziamenti giudicati illegittimi. Ora il giudice potrà disporre in caso di «manifesta insussistenza» delle ragioni economiche anche il reintegro in azienda. Il ministro del lavoro ha detto che chi «soffia sul fuoco» in questi giorni se ne deve assumere la responsabilità. Ben detto. Speriamo che però accetti delle critiche. Eccole.
1. Il cambiamento dell’articolo 18 e la possibilità di licenziare con maggiore facilità ha per lo più un valore segnaletico, simbolico. Detto effetto dopo la giravolta di ieri è completamente (venuto meno. È del tutto chiaro che la procedura di licenziamento (certamente più libera rispetto alla legge del 1970) resta comunque farraginosa e soggetta all’interpretazione discrezionale e lunga di un magistrato. Risultato dunque ampiamente fallito.
2. In Italia ci sono 64 imprese ogni mille abitanti, contro una media di 41 dell’Europa. Il nostro tasso di imprenditorialità (misurato dalla quota di indipendenti rispetto al totale dei lavoratori nelle imprese) è pari al 32 per cento è dunque più che doppia rispetto all’Europa (14 per cento). E infine la dimensione media dell’impresa italiana è di 4 dipendenti contro i circa 12 della Germania. Insomma tutti i numeri, oltre che la banale esperienza di una vita normale, ci dicono che inseguire un modello tedesco o europeo nel campo del lavoro è come vestire da sposa cappuccetto rosso. Abbiamo una struttura del lavoro molto particolare, in cui la libertà di licenziamento (importante solo per un manipolo di imprese) non può essere scambiata con maggiori costi e maggiori rigidità per i milioni di piccole imprese che costellano il Paese. La riforma sembra non accorgersene.
3. Il ministro del Lavoro non sa quantificare quale sarà l’effetto benefico della riforma sull’occupazione. In ciò dimostrando rigore e onestà intellettuale. Gli effetti positivi arriveranno, sostiene la Fornero, dal cambiamento nei comportamenti dei lavoratori e degli imprenditori. Sbagliato. In riferimento all’articolo 18 e alle imprese a cui si applica, il problema di funzionamento riguarda semmai sindacati e giudici. I primi che troppo spesso ragionano ancora in termini di sola contrapposizione con il padrone e i secondi che dovranno entrare nel merito delle cause di lavoro che da ora in poi ci saranno. È stata la magistratura del lavoro (più che la legge del 1970) a rendere di fatto impossibile licenziare in Italia. Grazie alla sua moral suasion (diciamo così) andare in contenzioso davanti ad un magistrato da parte di un imprenditore è stato per anni una causa persa che non conveniva neanche iniziare.
4. Il presidente Monti si è detto convinto che con la riforma il «sistema sarà maggiormente prevedibile» e dunque più attraente. In termini astratti in un modellino matematico togliere una variabile aiuta a raggiungere un risultato. Ma non riteniamo che affidare al giudice la determinazione dell’illegittimità di un licenziamento renda più prevedibile un percorso. Non riteniamo che ridurre l’imprevedibilità di un’assunzione (stracciando una parte della legge Biagi) sia un incentivo alla competitività. E siamo abbastanza certi che il Monti che si fece sfuggire la frase sul «posto fisso noioso» la pensi come noi.
Due ultime considerazioni.
La prima riguarda il Pdl. La ragion di Stato per votare questa riforma deve essere forte, fortissima. Anche maggiore rispetto a quella che ha visto dare il suo assenso all’inasprimento fiscale. Il partito di maggioranza non ottiene una bandiera da sventolare e si porta a casa un bel pacco di rigidità in più.
La seconda è rivolta alla Fornero, che si è detta consapevole del disagio sociale dopo averne parlato «l’altro giorno» con un cardinale, un principe della Chiesa.

Forse converrebbe che si facesse una chiacchierata con qualche bottegaio, con una partita Iva, con un commerciante di provincia o con qualche imprenditore agricolo. Vis à vis. E per una volta invece di insegnare, ascoltasse.

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