Incredibile: l'America fatica a trovare il vero anti Obama

Tra quattro giorni si vota in Iowa per scegliere lo sfidante di Obama. L’ex governatore Mitt Romney batte Barack nei sondaggi. Per gli altri candidati nessuna chance

Incredibile: l'America fatica a trovare il vero anti Obama
Mezza America cerca l’anti-Obama. A fatica. Comincerà a scegliere tra quattro giorni in Iowa: Mitt Romney, Newt Gin­grich, Rick Perry, Ron Paul. Quattro uo­mini più una donna, Michele Bachmann. La squadra repub­blicana che si sfida per la nomina­tion presidenziale è questa. Mode­sta, per molti. Sufficiente per altri. C’è un’aria strana attorno a queste elezioni primarie: una attesa limi­tata e vagamente fredda. Un po’ è che i repubblicani non sono come i democratici: non si trascinano la grande esaltazione dei media che solitamente preferiscono buttarsi sui personaggi dell’aria liberal.Un po’ è che la lista dei potenziali riva­li di Obama è davvero poco entu­siasmante. Paradossi: il presiden­te è in crisi da tempo, eppure i re­pubblicani stentano a trovare l’uo­mo giusto per mandarlo via dalla Casa Bianca. Il front runner è Mitt Romney, l’ex governatore mormo­ne del Massachusetts, considera­to da tutti il più equilibrato e com­pleto tra i candidati. È tornato in te­sta negli ultimi sondaggi in Iowa, mettendosi dietro l’ultralibertario e un po’ eccessivo Ron Paul, l’uo­mo preferito dal Tea Party che in questi giorni sembrava avesse pre­so molto slancio. Romney l’ha ri­preso e l’ha superato nel giorno in cui un sondaggio Rasmussen lo dà vincente anche nel duello presi­denziale contro Obama. Perché questo è l’obiettivo, in fondo. I re­pubblicani si scanneranno per un po’ (presumibilmente poco) per trovare l’uomo o la donna che il 6 novembre prossimo possa battere il presidente in carica.

Ecco, Romney oggi è l’unico che possa farlo. La dimostrazione la danno i commenti di diversi anali­sti con­servatori che chiedono ripe­tutamente ad altri esponenti re­pubblicani di candidarsi. Non c’è tempo? Non fa niente. Il motivo dell’insistenza è solo quello: o la nomination va a Romney, oppure Obama vincerà facilmente. Per­ché né Gingrich, né Perry, né Paul, né la Bachmann hanno speranze. La strada dell’ex governatore del Massachusetts non è così compli­cata: se dovesse vincere in Iowa si troverà in testa alla vigilia del voto in New Hampshire, considerato il vero primo grande appuntamen­to. E lì, in quello Stato, Romney non ha problemi: nei sondaggi marcia con 10-15 punti di vantag­gio su tutti gli altri. Dal New Hamp­shire in Florida e poi via via altro­ve. Senza una sconfitta tra quattro giorni, in sostanza, Romney sareb­be già quasi certo della nomina­tion. Quasi, ovviamente. Perché il margine di rischio c’è. Lo dice la storia e lo dice lo staff dell’ex gover­natore che non si fida di Rick Perry e di Newt Gingrich. Soprattutto di quest’ultimo. Non è più il grande collettore di voti della metà degli anni 90, ma è uno tosto e l’unico che oggi, nonostante gli alti e i bas­si, avrebbe la potenzialità per bat­tere Romney alle primarie. Il pro­blema sono i soldi, però: il mormo­ne ha una macchina per la raccolta fondi che funziona, l’ex speaker della Camera, invece, fa fatica. Dal­la parte di Romney, poi,c’è il para­dosso Ron Paul: a pochi giorni dal voto in Iowa è secondo nei sondag­gi a pochissima distanza dall’av­versario. Potrebbe anche vincere. Il che gli darebbe una grande e im­mediata popolarità, gli concede­rebbe spazi nei tg, sui giornali, sul web. Ottimo per lui, ma ottimo an­che per Romney: negli Stati che se­guono l’Iowa, Paul è nettamente dietro all’ex governatore del Mas­sachusetts: in pratica vincerebbe una tappa, ma regalerebbe la ma­glia rosa all’avversario perché il suo successo farebbe da tappo agli altri concorrenti. Comunque va­da, insomma, Romney è avvantag­giato. Non significa avere la nomi­­nation assicurata, ovvio. Significa, però, sapere di poter fare calcoli e considerazioni che altri non si pos­sono permettere.

Può perdere solo se si fa del ma­le. Lui, ex banchiere di Wall Street, figlio di un senatore che cercò la nomination repubblicana alla Ca­sa Bianca nel 1960. Lui che sfida il grande pregiudizio dell’America verso i mormoni.

L’ultimo sondag­gio fatto sulla fede dei candidati l’ha buttato giù di morale: c’è alme­no il 20 per cento della popolazio­ne che non voterebbe mai un mormone alla Casa Bianca. Venti per cento non è tanto: il problema è che di quel venti per cento, l’ottan­ta per cento è repubblicano. E que­sto può essere sì un problema.

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