Ecco, Romney oggi è l’unico che possa farlo. La dimostrazione la danno i commenti di diversi analisti conservatori che chiedono ripetutamente ad altri esponenti repubblicani di candidarsi. Non c’è tempo? Non fa niente. Il motivo dell’insistenza è solo quello: o la nomination va a Romney, oppure Obama vincerà facilmente. Perché né Gingrich, né Perry, né Paul, né la Bachmann hanno speranze. La strada dell’ex governatore del Massachusetts non è così complicata: se dovesse vincere in Iowa si troverà in testa alla vigilia del voto in New Hampshire, considerato il vero primo grande appuntamento. E lì, in quello Stato, Romney non ha problemi: nei sondaggi marcia con 10-15 punti di vantaggio su tutti gli altri. Dal New Hampshire in Florida e poi via via altrove. Senza una sconfitta tra quattro giorni, in sostanza, Romney sarebbe già quasi certo della nomination. Quasi, ovviamente. Perché il margine di rischio c’è. Lo dice la storia e lo dice lo staff dell’ex governatore che non si fida di Rick Perry e di Newt Gingrich. Soprattutto di quest’ultimo. Non è più il grande collettore di voti della metà degli anni 90, ma è uno tosto e l’unico che oggi, nonostante gli alti e i bassi, avrebbe la potenzialità per battere Romney alle primarie. Il problema sono i soldi, però: il mormone ha una macchina per la raccolta fondi che funziona, l’ex speaker della Camera, invece, fa fatica. Dalla parte di Romney, poi,c’è il paradosso Ron Paul: a pochi giorni dal voto in Iowa è secondo nei sondaggi a pochissima distanza dall’avversario. Potrebbe anche vincere. Il che gli darebbe una grande e immediata popolarità, gli concederebbe spazi nei tg, sui giornali, sul web. Ottimo per lui, ma ottimo anche per Romney: negli Stati che seguono l’Iowa, Paul è nettamente dietro all’ex governatore del Massachusetts: in pratica vincerebbe una tappa, ma regalerebbe la maglia rosa all’avversario perché il suo successo farebbe da tappo agli altri concorrenti. Comunque vada, insomma, Romney è avvantaggiato. Non significa avere la nomination assicurata, ovvio. Significa, però, sapere di poter fare calcoli e considerazioni che altri non si possono permettere.
Può perdere solo se si fa del male. Lui, ex banchiere di Wall Street, figlio di un senatore che cercò la nomination repubblicana alla Casa Bianca nel 1960. Lui che sfida il grande pregiudizio dell’America verso i mormoni.
L’ultimo sondaggio fatto sulla fede dei candidati l’ha buttato giù di morale: c’è almeno il 20 per cento della popolazione che non voterebbe mai un mormone alla Casa Bianca. Venti per cento non è tanto: il problema è che di quel venti per cento, l’ottanta per cento è repubblicano. E questo può essere sì un problema.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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