Indifesi e inermi contro i no-global: «È stata offesa la nostra dignità»

Poliziotti impassibili ma inermi. Ordine categorico: «Non rispondere ai manifestanti, non reagire, subire. Tenere su gli scudi e indietreggiare». Bersagli facili come birilli, insomma. Eccoli gli agenti capitolini schierati sabato a far da cordone agli incappucciati «No War» anti-Bush e anti-tutto.
Increduli, con gli auricolari nelle orecchie ad ascoltare via radio i colleghi della sala operativa imporre, imbarazzati, una resa incondizionata. «Una sassaiola violentissima s’è scatenata all’improvviso contro centottanta dei nostri uomini - racconta Domenico Pianese, del Coisp -. È piovuto di tutto: pietre, sampietrini, bottiglie. Quel diktat di rimanere lì impalati è risuonato come un’offesa alla dignità di ciascuno. Come a dire: meglio un poliziotto morto che un no-global ferito».
Ancor peggio, secondo il sindacalista, la mancanza di protezioni anti-sommossa adeguate. «Non tutti - aggiunge - avevano giubbetti, ginocchiere e conchiglie adatti per la guerriglia urbana. Già, perché di questo si tratta. L’abbiamo visto a Genova, l’abbiamo rivisto l’altra settimana al G8 di Rostock, in Germania. Contro questi anarchici di cui nessuno riconosce la paternità politica e la responsabilità sociale, bisogna adattare nuove strategie. Affidarsi alla buona sorte e mandare gli agenti allo sbaraglio è, francamente, da incoscienti».
Non basta. C’è chi dietro agli assalti anti-sbirro vede una matrice comune. «La stessa - afferma Vincenzo Zampelli del Sodipo Fsp Ugl - che serpeggia negli stadi o sui campi di calcio di periferia. L’unico obbiettivo comune è sempre e solo l’assalto al poliziotto, all’ordine precostituito. In questo senso ogni occasione è un pretesto per devastare e dare la caccia a chi ha la divisa. Come le manifestazioni dei metalmeccanici lo erano negli Anni di Piombo per le avanguardie Br. Bisogna capire dove vuole approdare una sistematica del genere e se c’è qualcuno che la foraggia e la indirizza. L’allarme non può essere più ignorato per motivi politici».
Scodellati nella capitale da treni speciali, ripartiti in serata dopo un estenuante braccio di ferro con le autorità che, alla fine, hanno permesso loro di tornarsene a casa senza nemmeno pagare il biglietto (a tariffa speciale di 10 euro), i no-war guerrafondai hanno lasciato una Roma devastata e oltraggiata. Nel day-after il prefetto Achille Serra ringrazia, parla di «svolgimento pacifico del corteo», sottolinea «l’impegno, la freddezza e la professionalità straordinaria delle donne e degli uomini delle forze dell’ordine». Parla di una città che si è dimostrata «aperta e matura».
Intanto, sono undici i poliziotti finiti contusi al pronto soccorso, molti altri, invece, hanno fatto a meno delle cure mediche, pronti a riprendere servizio (dopo 16 ore di lavoro) già l’indomani mattina alle cinque. Anche Romano Prodi s’è affrettato a elogiare l’operato della polizia.

Così come il sindaco Walter Veltroni e il presidente del consiglio provinciale Enrico Gasbarra, a parte gli «isolati» tafferugli si sono detti soddisfatti di come sono andate le cose. Elogi che risuonano come condoglianze mancate.

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