Gli industriali del farmaco: «Prodi ci rovina»

Luigi Cucchi

da Milano

Doveva essere la presentazione di una indagine della università Bocconi sul ruolo dell’industria farmaceutica italiana, in realtà l’incontro che si è svolto ieri a Milano tra gli industriali farmaceutici italiani è stato un violento attacco contro l’attuale governo che vuole la loro morte. Con la vigoria che da sempre lo caratterizza, ma non comune in chi ha più di 80 anni, Alberto Aleotti, già presidente mondiale della Federazione delle industrie farmaceutiche, ha dichiarato che gli imprenditori del farmaco non sono disponibili ad assistere alla morte delle proprie aziende. «Se nell’attuale governo vi sono degli incapaci che vogliono distruggere l’economia, gli imprenditori hanno l’obbligo di far sopravvivere le proprie aziende, anche a costo di trasferirle all’estero». Aleotti ha sviluppato la Menarini trasformandola da piccola industria farmaceutica fiorentina a Gruppo internazionale con 12mila dipendenti e oltre 2.230 milioni di euro di volume di affari. Ha vinto tante battaglie, ora è pronto a una nuova crociata e incita gli animi alla rivolta.
Dopo aver ricordato le tante industrie che sono già state costrette in passato a causa dei prezzi fissati d’imperio e bloccati metodicamente ad abbandonare il campo come la Lepetit, la De Angeli, la Zambeletti, la Pierrel, la Maggioni, la Ravizza, la Schiapparelli, la Sigurta, la Sclavo, la Farmitalia–Carlo Erba e tante ancora, Aleotti ha ricordato il contributo che le aziende farmaceutiche possono dare allo sviluppo economico di un Paese. «Non vogliamo andarcene, ma siamo pronti a farlo se siamo costretti», ha precisato Alberto Chiesi, coordinatore del Gruppo delle aziende italiane di Farmindustria. «Sono numerose le industrie italiane che hanno puntato sulla ricerca e si sono sviluppate proprio grazie ai risultati ottenuti sul piano scientifico» ha precisato il professor Luigi Rovati, un farmacologo dell’università di Pavia che si è dedicato con successo all’attività imprenditoriale fondando la Rottapharm che oggi ha oltre mille dipendenti e un volume di affari di 273 milioni di euro. «Abbiamo ceduto in licenza nostri farmaci alle prime industrie farmaceutiche al mondo e ciò testimonia la vitalità della ricerca farmaceutica italiana», ha ricordato Rovati. L’industria farmaceutica – come ha affermato Enrica Giorgetti, direttore generale di Farmindustria – è ad alto valore aggiunto e ha un ruolo strategico per lo sviluppo dell’economia. Troppi politici si ricordano della sua presenza solo quando hanno la necessità di effettuare tagli di bilancio.
Dal 2001 ad oggi la spesa sanitaria totale è aumentata del 26,5%, quella farmaceutica convenzionata solo dell’1,7%, ben al di sotto dei valori dell’inflazione» ha ricordato l’ex sindacalista Giuliano Cazzola, precisando che «qualsiasi impresa per poter programmare e investire ha bisogno di certezze».
Allargando il dibattito all’impiego dei farmaci generici, Claudio Cavazza, presidente di Sigma Tau (2.364 dipendenti, 675 milioni di euro il volume di affari) è critico nei confronti della recente proposta dell’Antitrust di introdurre l’obbligo per il medico di prescrivere il principio attivo o di indicare nella prescrizione la facoltà di acquistare un farmaco a più basso prezzo sostituibile a quello prescritto.

Tanto da chiedere che una commissione tecnica valuti effettivamente le cifre per capire quali sono i risparmi reali. «Il risparmio - secondo l’industriale, difensore dei farmaci firmati - in questi casi è aleatorio, perché le differenze di prezzo o non ci sono o sono minime».

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