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Infermieri Niente razzismo se è il sindacato che non vuole lo straniero

Il problema - e che problema - se l'è posto per prima la Lombardia, sempre molto attenta al servizio sanitario. Ma è assai probabile, diciamo pure che è sicuro, che la magagna interessi tutto il Belpaese. Come riferisce in altra pagina la nostra Maria Sorbi, il problema in questione riguarda il reclutamento, per ospedali, cliniche e sopra tutto case di riposo per anziani, di personale paramedico extracomunitario o migrante che dir si voglia. Personale che avendo, salvo le dovute eccezioni, scarsa preparazione, non va, non funziona. E anzi, è fonte di guai. I quali dipendono per lo più dalla scarsa o nulla conoscenza dell'italiano degli assunti, ciò che ovviamente li porta a non comprendere le esigenze del paziente o le disposizioni della caposala e di pasticciare con le terapie e le posologie dei farmaci. Così, per evitare che le cose si mettano male in corsia, il personale italiano è costretto ad accollarsi una funzione in più: quella di seguire, di controllare e aiutare i colleghi stranieri. Di far loro da balia. L'allarme è stato lanciato dai movimenti sindacali, e questo è un bene.
Se a denunciare lo stato di cose fossero stati altri, non tutelati dal fulgido mantello del sindacalismo, subito si sarebbe gridato alla discriminazione, alla xenofobia se non proprio al razzismo tirando in ballo le virtù della solidarietà e le bellurie della società multietnica e multiculturale (e pertanto multi linguistica). Venendo invece dalle organizzazioni dei lavoratori, l'accusa non solo è politicamente corretta, ma anche socialmente benemerita. Resta però il fatto che per la prima volta il lavoro extracomunitario è affrontato senza la consueta retorica buonista e piagnucolosa e ciò è dovuto al fatto che rumeni e sudamericani - il grosso della forza lavoro straniera nelle strutture sanitarie - non rappresentano un aiuto, quanto piuttosto un peso per il personale italiano. E non solo per il problema della lingua, ma anche per quello della formazione, impossibile da saggiare se, appunto, esaminato ed esaminatore parlando idiomi diversi.
Fa piacere che i sindacati abbiano alfine compreso che la politica delle porte e delle braccia aperte - entrino, entrino, c'è posto per tutti... - non conduce da nessuna parte, danneggiando sia il lavoratore straniero (che se per non aver compreso appieno la prescrizione sbaglia il dosaggio di un farmaco mandando in rianimazione il paziente, paga di persona), sia quello italiano e sia il lavoro nel suo insieme, la qualità dell'assistenza sanitaria. Questo per non dire dell'altro e più deprecabile esito della politica delle braccia aperte: il racket, la tratta di manodopera. Certe organizzazioni ai limiti della legge importano personale a blocchi, verrebbe voglia di dire a containers, trovando sempre chi glie lo ricompra, soddisfatto di poter disporre di manodopera che gli costa meno della metà di quella italiana.

«Il ricorso esasperato alle cooperative e alle agenzie interinali per supplire la carenza di organico - ha detto Alberto Villa della Cgil -va risolto in nome della qualità del servizio». Ma che bravo: ha scoperto (finalmente) l'acqua calda.

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