(...) ti fulminano, come se stessi violando una proprietà privata. Perché i giardini della Stazione Brignole sono così, una zona franca nel centro della città in mano a sbandati, disperati, malavitosi. Dove hai paura a passarci persino di giorno. Ma come è possibile che non ci sia nemmeno un controllo, che non passi una pattuglia di vigili o carabinieri o polizia e che nessuno dica niente? Ma come è possibile che venga tutto lasciato in questo stato e che questo stato sia quotidianamente sotto gli occhi di tutti? «Siamo a Genova, signora. Lo capisce?».
Eppure proprio qui su una panchina dei giardinetti della stazione laltra notte un italiano ha rischiato di perdere la vita per colpa di una gang di sudamericani che hanno deciso di prenderlo a sprangate. Così per gioco, per passare una notte diversa dal solito, facendo magari i bulli davanti alle loro ragazze. Dei quattro minorenni fermati per il pestaggio di Massimo Amato, ieri è stato convalidato larresto di uno soltanto. Davanti al gip, il giovane ha negato che laggressione facesse parte di un rito di iniziazione per entrare nella banda. «Ma quale rito, è stato un diverbio fra noi e i rumeni. Quellitaliano si è messo in mezzo e io lho colpito soltanto con una cinghiata e non con la spranga», si difende il ragazzo. E però, il suo nome era già scritto nel registro degli indagati per rissa dentro al centro sociale Zapata dove nel 2009 morì un sudamericano di 17 anni. «È necessario installare un presidio fisso di polizia nei giardini di Brignole», dice il responsabile sicurezza pdl Liguria, Gianni Plinio allindomani dellaggressione.
Ci vorrebbe, eccome. In piazzetta Baistrocchi, circondata dai cantieri per la metropolitana, ci sono zingari e rom. Una donna prepara il pranzo a cielo aperto su una panchina e distribuisce i piatti ai commensali, per terra è un tappeto di rifiuti, cocci di bottiglie e quantaltro. La vasca della fontana, la loro riserva personale di acqua di cui servirsi per ogni necessità. Viale Caviglia invece è pieno di latinos: il gabbiotto che vende verdura è il punto di riferimento per le bande. Stazionano qui dalla mattina alla sera, con la birra in mano e la musica a tutto volume. Accanto i pullman per i turisti, i turisti, i genovesi, gente normale che prende il treno tutti i giorni e tutti i giorni arriva qui. Il biglietto da visita di Genova. Nei prati che danno su via Cadorna - via Cadorna, che poi diventa XX Settembre larteria principale della città, mica un vicolo infognato dietro al porto - ormai è ridotto a un accampamento di disperati. Cartoni, abiti, rotoli di carta igienica, zaini, vestiti appesi sugli alberi per prendere aria. Uno scempio. La gente ci passa davanti, tira dritto, si tappa il naso per la puzza e abbassa lo sguardo per evitare lennesimo sussulto di amarezza e di rabbia. «Io non ho mai visto nessuno che andava lì e li mandava via. Nessuno - dicono dietro il bancone di unedicola -. Sono tutti stranieri ubriachi fradici, gli extracomunitari qui da noi sono i padroni. La spazzatura? Si figuri se viene qualcuno a pulire qui i prati».
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