Val dIsèreLa Bellevarde notturna, illuminata dai lampioni, fa impressione: luccica, è una pista di ghiaccio verticale. Di giorno sembra normale per chi la guarda da sotto in su, ma per chi la percorre a oltre cento all'ora con due sci ai piedi può diventare un incubo. La Bellevarde è la pista che stamattina assegnerà il titolo mondiale più ambito dello sci, quello della discesa libera maschile. Libera? Su questo concetto qualcuno storce il naso. Bode Miller ad esempio: «Più che cercare di andare veloce qui devi frenare per stare nel tracciato, chi non scia più che bene è finito, sbagliare non si può». O Marco Buechel, il veterano del Liechtenstein, il solo già presente nel 1992 quando sulla Bellevarde si disputarono le gare olimpiche: «In gigante andavo bene da giovane, ora non più tanto, questa non è una vera discesa, gira troppo, ma su un pendio così ripido cos'altro si poteva fare?».
Pendenza massima 70%, media 32% su tre chilometri di lunghezza e 959 metri di dislivello. Definirla "ripida" è quasi un eufemismo: la Bellevarde è un tuffo nel vuoto. Diciassette anni fa, quando si sciava con materiali completamente diversi e le velocità in curva non erano tanto elevate, la discesa olimpica presentava quattro salti impressionanti. Ne sono rimasti due. Un terzo, quello finale, è stato smussato e di fatto eliminato dopo la prima prova su richiesta del rappresentante degli atleti, Didier Cuche. Lo svizzero, vincitore del superG, come tutti ha ancora negli occhi la caduta di Daniel Albrecht quindici giorni fa sul salto finale di Kitzbuehel: «Perché farci rischiare inutilmente? Gli spettatori avranno ben altro per cui godersi la gara, in caso di vento quel salto sarebbe diventato pericoloso perché ti faceva prendere aria sotto gli sci e volare all'indietro». Proprio ciò che era successo ad Albrecht, al quale oggi cominceranno a ridurre le medicine che dal 22 gennaio lo tengono in coma artificiale per indurlo verso un graduale risveglio. I problemi polmonari sono risolti, restano purtroppo dubbi su come reagirà a livello cerebrale, ma ogni valutazione potrà essere fatta solo quando si sarà svegliato.
Ma torniamo alla discesa. Piace? Non piace? È rischiosa, pericolosa? O troppo lenta? In questi giorni di vigilia si è sentito di tutto e il contrario di tutto. Piace a chi riesce a sciarci. Fa schifo a chi ha una tecnica meno che perfetta e va forte solo nelle discese dove conta soprattutto la scorrevolezza. Lascia dubbi a chi non ha ancora trovato il modo giusto per domarla. Peter Fill è fra i dubbiosi: «Anche nella seconda prova non mi sono sentito bene, ho sbagliato e fatto fatica a capire certi passaggi, ma sarà una gara bella e combattuta, perché sono in tanti a poter vincere». Il vicecampione mondiale del superG si esclude dalla lotta, ma è carico e oggi sarà fra i favoriti assieme al compagno Innerhofer, ottavo tempo ieri in prova con ottimi parziali nella parte finale: «In alto ho perso tanto, non vedevo nulla, su questa pista il problema è proprio questo, la visibilità. Spero solo che la gara sia regolare, con luce uguale per tutti, buona o cattiva che sia. Altrimenti diventa una lotteria, e sarebbe un peccato». Anche Werner Heel in prova ha faticato, ma la leggera spolverata di neve caduta nella notte potrebbe dargli una mano, perché lui, più di Fill e Innerhofer, patisce il ghiaccio nel tratto finale.
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