Inter, giorno del giudizio Supersfida al Camp Nou con i campioni del Barça

Mourinho evita le polemiche: "L’arbitro non mi preoccupa. La finale per noi è un sogno, ma per loro è un'ossessione". Guardiola: "Ce la metteremo tutta, il pubblico non fa gol"

Inter, giorno del giudizio 
Supersfida al Camp Nou 
con i campioni del Barça

Neroblaugrana, c’è tutto in tre colori. Due gol di differenza, una vita da raccontare, e il modo di interpretare una storia calcistica e la voglia di arrivare alla finale di Champions League: «nero» determinazione, «blau» (blu-azzurro) ottimismo della speranza, «grana» fuoco agonistico. Mourinho l’ha riassunto in due parole: «Noi abbiamo il sogno, voi l’ossessione». Così sarà, se vi pare, Barcellona-Inter. Non conteranno insulti e tensioni, non c’è passato che possa pretendere strada, non c’è stadio che possa da solo vincere una sfida, non c’è arbitro da temere più dei gol. L’Inter parte da un 3-1, il Barcellona dal ricordo di novembre quando seppellì la squadra di Mou con un 2-0 e forse più.

Quel risultato basterebbe anche stavolta, ma il tempo non è passato invano, lo ha raccontato l’allenatore, lo dicono i fatti dopo la partita di San Siro. Il Camp Nou vi aspetta. Stasera alle cinque de la tarde le ramblas di Barcellona si svuoteranno. L’anima interista comincerà a trepidare, quella catalana sentirà infuriare la tempesta dei tormenti. Ieri Mourinho e Guardiola sono stati cavalieri d’arme, prima del lancia in resta. Pep secondo indole, Mou deve aver mandato il fratello nascosto. Non è stato provocatore, ha giocato con le parole e con l’arbitro mettendosi dalla parte della legalità vociante. «A me non preoccupa l’arbitraggio, mi preoccupo dei giocatori che vogliono aiutarlo o complicargli la vita». Con Mourinho vale sempre la stessa regola: leggi la frase eppoi rigirala e vedi cosa ne esce.

Ma se l’Inter sarà sorprendente come il tecnico, probabilmente perfino il Barcellona ne resterà abbagliato. Mou ci ha raccontato la partita con un saggio di filosofia spicciola niente male. «La finale di Champions per noi è un sogno, per il Barcellona un’ossessione. Il sogno è qualcosa di più puro. Ma io capisco l’ossessione del Barcellona di giocare la finale al Santiago Bernabeu di Madrid. Sarebbe come se noi dovessimo giocarla nello stadio della Juve». Sì, l’ossessione è il veleno che ha stregato la Champions del Barça. E Mourinho l’ha svelata. «Intendiamoci, questa non è una critica», ha allungato al volgo per evitarsi critiche. «Io ho capito tutto quand’ero qui come interprete, ho capito cosa significa vincere a Madrid: abbiamo giocato una finale di coppa del Re contro il Betis. Ho visto allora qualcosa di grandissimo: le bandiere catalane che sventolavano, per la prima volta l’inno suonato a Madrid. Immagino cosa sarebbe oggi».

Che strano! Mou stavolta non sembra un avvelenatore di pozzi. Giusto per smentire Cruyff, il Grande Presuntuoso della panchina che a Barcellona è rimasto un mito e non gli ha fatto mancare la sua sberla. «Questo sport è qualcosa di più che inseguire solo una vittoria, ci sono altri valori da trasmettere». A ciascuno il suo. E il portoghese non ha fatto mancare un pizzico di veleno al Barça: «Non credo sia un problema per una squadra di grandissima qualità rimontare un 3-1. Questa non è una guerra, il calcio insegna che in 5 minuti si possono segnare tre gol». Elementare, Pep.
E naturalmente ha già preso le controindicazioni. Giocherà Sneijder. «Finché ce la farà». Il tecnico lo ha annunciato senza dubbi ed ha snocciolato nove undicesimi della squadra. L’Inter giocherà al modo solito, marcature a zona, due punte certe, unico incerto Pandev. E tutti attenti a Messi e alla sua maledizione: sei volte senza segnare contro le squadre di Mou. Un caso? Forse. Una statistica val bene un po’ di snobismo. «Se giocassi io contro Messi perderei 50 a 0. Ma nessuno potrà dire che le mie squadre lo hanno marcato a uomo. Nel calcio servono fortuna e casualità».

Mou ne è ben fornito e conta di non essere abbandonato proprio ora per riportare l’Inter in finale, 38 anni dopo l’ultima (contro l’Ajax nel 1972). Sarebbe un regalo a Moratti e agli interisti, racconta. «Io ho già vinto, loro aspettano da tanto, vorrei aiutarli a raggiungere il sogno».

Ci vorranno cattiveria e determinazione. Quella usata con Balotelli. Basta la parola. SuperMario è partito per Barcellona, dopo aver recitato un mea culpa davanti a tutta la squadra. Ma non sarebbe bastato, ha fatto intendere Mou che ha trovato una scusa originale. «È partito con noi per colpa di Stankovic che voleva venire a tutti i costi. Quasi piangeva. E io a dirgli: vuoi venire in gita premio? Sei squalificato, non puoi giocare. E lui: voglio venire, voglio venire. Allora ho detto: parti tu, ma partono tutti».

A questo punto ci vorrebbe il colpo di teatro: ritrovarlo in panchina. Ma forse sarebbe troppo pretendere. Però Mourinho è furbo e chissà mai se vorrà dare ragione a Cruyff? Vincere o trasmettere valori? Questo è il problema.

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