nostro inviato a Madrid
Ve lo ricordate il marchese del Grillo, alias Alberto Sordi, nella famosa battuta «Io so’ io e voi…»? Beh, sembra di risentirla risuonare nelle viscere del Santiago Bernabeu, all’ora del “bocadillo”, lo spuntino, quella battuta formidabile quando Louis Van Gaal scava il solco che lo divide da José Mourinho e dall’Inter senza mai indulgere all’ipocrisia. Anzi. È come se volesse sottolineare: «Io so’ io e lui...». L’omone di Amsterdam è l’unica vera diga, realizzata dal Bayern in queste ore che portano alla resa dei conti, dinanzi allo strapotere di Mourinho e alla cavalcata nero-azzurra destinata a travolgere qualsiasi ostacolo dopo aver domato mezza Europa che conta. Mourinho di qua, Mourinho di là: i giornali di Madrid e non solo sono pieni delle sue foto e dei dettagli del suo prossimo contratto con Florentino Perez, tanto per cambiare. Ascolta Van Gaal, come un maestrino, defilato in prima fila, la conferenza dei suoi due pupilli, van Bommel e Schweigsteiger, prima di impadronirsi del microfono e di recitare una mezz’ora da mattatore, con battute a ripetizione, risposte secche e affilate come lame e giudizi feroci destinati a segnalare il nervo scoperto del rivale. Lo conosce così bene da sapere perfettamente dove colpire, anche sotto la cintura, proprio come sul ring.
La premessa è di quelle che lasciano il segno. Mena fendenti Louis van Gaal aprendosi al sorriso beato. «Gli amici miei sono in Olanda, sono quelli con cui sono cresciuto, José l’ho conosciuto più tardi» il primo distinguo che ha il sapore di un altolà a chi considera il portoghese addirittura suo sodale. Divertente anche il particolare riferito sui tre anni vissuti insieme a Barcellona, dove cominciò il sodalizio tra i due e la carriera dell’interprete arrivato da Setubal, Portogallo.
«Quando arrivai in Spagna volevano mandarlo via, e lui era molto ferito. Lo sentii parlare e chiesi io di riconfermarlo. Preparava analisi molto particolareggiate delle partite, studiava gli avversari: qualche volta gli feci allenare anche la squadra, si capiva che aveva qualità»: sembra una patente di condottiero e invece è il passaggio per chiudere con una stoccata. «Ha avuto molto successo José, mai avrei immaginato che sarebbe arrivato fin qui».
Ecco allora l’unico, vero, anti-Mourinho d’Europa mettere in riga Arrigo Sacchi («ha detto che vince l’Inter? È un esperto...») e Platini («ha detto che può finire come tra Juve e Amburgo? Sono i dettagli che fanno la differenza») prima di scavare altre differenze, quasi per divertimento al fine di spiegare l’universo che lo separa dal portoghese. «Io gioco in attacco per soddisfare il pubblico, lui gioca in difesa» insiste sottolineando l’identità calcistica che sta diventando quasi una disputa razziale. Malizioso anche il riferimento alla simpatia riscossa presso i rispettivi Paesi. Detta van Gaal sornione: «Noi abbiamo tutta la Germania al nostro fianco, saranno in 70mila dentro l’Allianz Arena, è stato apprezzato il nostro gioco d’attacco perciò noi dobbiamo solo concentrarci. Concentrazione è la parola chiave». Il vero provocatore è lui, questo olandesone che sa utilizzare tutti gli argomenti per montare una vigilia come si deve. Specie quando si inoltra lungo il terreno minato del ruolo recitato dall’arbitro, una sorta di chiodo fisso, utilizzato qui per mettere in discussione il valore della finale interista.
«Meritava il Barcellona, nella sfida con l’Inter ha reclamato per un rigore netto, l’arbitro non può vedere tutto, Platini e Blatter devono far qualcosa per cambiare in meglio il calcio» la sua riflessione che dimentica il particolare non irrilevante del gol in fuorigioco rifilato alla povera Fiorentina. «È vero, abbiamo avuto fortuna in quella circostanza, ci vuole anche fortuna se una squadra di livello inferiore come il Bayern, per esempio, riesce ad eliminare il Manchester» l’unica dichiarazione che rende omaggio all’onestà intellettuale e alla ricostruzione autentica della Champions 2010.
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