Roma Avesse fatto un pranzo luculliano a base di sushi, cibo che notoriamente non ama, il pomeriggio sarebbe stato certamente meno indigesto. Perché assistere ancora una volta al tira e molla tra falchi e colombe, tra oltranzisti e trattativisti, certo non ha messo Berlusconi di buon umore. Il cuore del problema resta il ddl intercettazioni, merito del provvedimento e tempi di approvazione alla Camera. E su questi ultimi il Cavaliere s’era messo l’anima in pace già da qualche giorno, perché se Fini vuol far slittare il via libera a settembre è in grado di farlo ed è inutile e improduttivo - è stato il ragionamento del premier - fare una crociata su questo. Berlusconi, insomma, è deciso a disinnescare la mina intercettazioni, perché - confida in privato - è un provvedimento sacrosanto ma «non voglio certo arrivare alla guerra civile per un testo ormai stravolto e che non è neanche quello che avrei voluto io». Alla riunione di Palazzo Grazioli con i tre coordinatori del Pdl (Bondi, La Russa e Verdini), i capigruppo (Cicchitto, Gasparri e Quagliariello) e Ghedini si entra però anche nel merito. E c’è chi fa presente la necessità di aprire ad eventuali modifiche per venire incontro alle sollecitazioni del Quirinale. Una posizione che Letta sostiene con decisione da giorni. Non è un caso che in mattinata, davanti alla platea di Confcommercio, il Cavaliere metta le mani avanti: «Bisognerà vedere se il capo dello Stato vorrà firmarlo, e quando uscirà non piacerà ai pm della sinistra che si appelleranno alla Corte costituzionale. E questa, secondo quanto mi dicono, lo boccerà». Questa volta, insomma, non finirà come con il Lodo Alfano.
Così, ci sta che Berlusconi assista alla riunione con un pizzico di rassegnazione. E con la mente che forse torna alla discontinuità di folliniana memoria. Era il 2005 e non si riusciva a muovere foglia se non dopo lunghe ed estenuanti mediazioni con l’Udc. Con Fini, ormai, è un po’ così. Tanto che davanti ai commercianti non si nasconde: «Quando un imprenditore come me pensa alle cose da fare si scoraggia, perché per arrivare a un risultato concreto bisogna passare le forche caudine di tante difficoltà che a volte uno pensa “chi me lo fa fare, torno a fare quello che facevo prima o me ne vado in pensione”». Ogni riferimento al presidente della Camera è puramente casuale, visto che non è un mistero il fatto che sul testo ci fosse il via libera non solo dell'ufficio di presidenza del Pdl ma anche dell’ex leader di An. Invece no. È probabile che alla Camera qualche ritocco si farà - uno scenario che nei giorni scorsi ipotizzava il finiano Della Vedova - anche perché tre mesi (tanto manca a settembre) sono politicamente un’eternità. Anche se ad oggi resta nel Pdl un doppio binario. Perché mentre Letta preme per andare incontro alle richieste del Colle c’è chi non vorrebbe assolutamente mettere mano al testo («non mi risulta siano all'ordine del giorno delle modifiche», dice Gasparri). D'altra parte, è chiaro che i primi a non gradire un eventuale ritocco siano proprio gli ex colonnelli di An. Il punto di mediazione, su cui si sta trattando in queste ore, potrebbe essere quello di rimettere mano al testo su tempi e modalità degli "ascolti", ma approvandolo alla Camera e poi di nuovo al Senato prima dell'estate. Un compromesso cui si potrebbe arrivare se davvero, come vorrebbero Letta e le colombe (tra cui Ghedini), si riuscisse a chiudere con Fini non una tregua armata ma un vero e proprio armistizio. Argomento, questo, di cui si è parlato a lungo nel vertice di Palazzo Grazioli e che è - l'aveva anticipato martedì l'agenzia Apcom - assolutamente sul tappeto.
Di certo, c'è che il Cavaliere sta vivendo questo ennesimo tira e molla sulle intercettazioni con molto fastidio. Il testo, è il senso dei suoi ragionamenti, è già stato stravolto e ora si rischiano anche gli strali del Colle o della Consulta. E anche per questo dà il suo benestare alla linea morbida, perché - confida - «non mi ci riconosco più». Eppure, dice in mattinata a Confcommercio, «siamo tutti spiati».
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