Politica

INTERCETTAZIONI: IL GOVERNO SBAGLIA BERSAGLIO

Puniti - con il disegno di legge governativo sulla giustizia - sia i magistrati troppo loquaci ed esibizionisti sia i giornalisti che pubblicano, «con volontà di dolo», «intercettazioni per le quali sia stata ordinata la distruzione». In verità è molto diversa l’entità delle sanzioni che il provvedimento indica. Per le toghe l’obbligo di astenersi, ossia di non partecipare a decisione alcuna, se hanno rilasciato pubblicamente dichiarazioni su un processo a loro affidato; per i giornalisti da uno a tre anni di carcere. La durezza della sanzione è stata attenuata da un ripensamento di ieri in commissione Cultura della Camera. Grazie a esso viene affidata al giudice la facoltà di decidere se il giornalista meriti o no la galera.
So, come giornalista, di non poter essere ritenuto imparziale in queste considerazioni. Ma sul dovere di riservatezza dei magistrati ho già scritto molte altre volte, posso dunque tranquillamente ripetermi. Quella dei magistrati divi è stata una caratteristica di Tangentopoli. Il pool di Mani pulite dominava allora la scena mediatica e indirettamente anche la scena politica. Un delirio adulatorio s’era impossessato degli italiani. Su quel trampolino di entusiasmi e consensi i Di Pietro, i Gherardo Colombo, i D’Ambrosio fondarono le loro future fortune come capipartito, come parlamentari, come autori di pensosi saggi, come assidui ospiti di talk show. Il privilegio di questa notorietà toccò ai Pm che indagavano su vicende clamorose. Migliaia d’altri magistrati bravi e preparati hanno dovuto assistere con malinconia ai trionfi dei loro straripanti colleghi.
È giusto che l’esibizionismo finisca. Perché avvilisce la legge, personalizzandola e dandole volgari connotazioni teatrali. All’anonimato dei magistrati si sono tuttavia ribellati in molti. Tra loro l’immancabile Marco Travaglio: il quale ha rilevato come nel piano di rinascita democratica di Licio Gelli fosse previsto l’obbligo dei magistrati alla riservatezza. L’argomento P2 è sfoderato spesso dagli antiberlusconiani, con esiti grotteschi. Quel piano conteneva, insieme a concetti inaccettabili, ovvietà sensate. Tra le quali pongo il dovere dei magistrati di astenersi dal protagonismo. I bagni di mare fanno bene anche se li praticava Mussolini, a Riccione.
La verità è che i magistrati debordanti e militanti vogliono troppe cose insieme. Un lauto stipendio fisso dello Stato, e nello stesso tempo la totale libertà di esternare, criticare, polemizzare, appartenere a correnti dell’Anm che equivalgono a partiti, se del caso lasciare la toga per un mandato parlamentare e poi reindossarla. Si diano una calmata. Vogliamo conoscere le loro sentenze, non le loro facce. Vogliamo che si pronuncino tempestivamente - figuratevi! - sulle cause in cui sono impegnati, e che tacciano sui massimi problemi di macropolitica e di microanticamere del Palazzo.
I giornalisti, vil razza dannata. I lettori ci rimproverano frivolezza e cedimenti indegni al pettegolezzo o al sensazionalismo, ma se un foglio concorrente è frivolo, sensazionale e trucemente scandalistico corrono - molti almeno - a comprarlo. Per le intercettazioni i giornalisti sono soltanto l’ultima ruota d’un ingranaggio che ha i suoi meccanismi fondamentali a monte: negli uffici giudiziari e negli studi degli avvocati (i quali, bisogna pur dirlo dopo ciò che s’è detto dei magistrati, non sono delle mammolette in fatto di discrezione e di scrupoloso mantenimento del segreto).

Da uno a tre anni per i giornalisti - con la modifica di cui ho fatto cenno all’inizio - e invece «arresto fino a un anno e ammenda da 500 a 1032 euro per pubblici ufficiali e magistrati che omettano di esercitare il controllo necessario per impedire la indebita cognizione o pubblicazione delle intercettazioni». Non c’è un po’ troppa severità per i giornalisti e un po’ troppa indulgenza per pubblici ufficiali e magistrati?

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