È scontro sulle nuove regole per le intercettazioni telefoniche che il Parlamento si appresta a varare. Opposizione, Di Pietro in testa, associazioni di magistrati e giornalisti si scagliano contro la maggioranza. Lassociazione tra i tre soggetti non è nuova, anzi ha costituito negli ultimi anni lasse portante dellantiberlusconismo militante. Che sullo spionaggio extragiudiziario ha tentato di costruire la sua fortuna, utilizzando di volta in volta fotografie e registrazioni rubate nelle residenze del premier, telefonate private di nessuna rilevanza penale, ipotesi investigative non suffragate da fatti. Per questo i Travaglio sono preoccupati di fronte alle ipotesi di un giro di vite che restringerebbe un facile canale di sputtanamento a basso costo e sforzo. Così come i magistrati temono di dover tornare a lavorare davvero sulle ipotesi di reato e non limitarsi a fare origliare gli indagati sperando di ascoltare una parola di troppo. In queste ore la grancassa che si oppone alle nuove regole dice una bugia e tace una verità. La prima è che a sentire la sinistra sembra che da domani le intercettazioni siano vietate per legge, con grande gaudio di mafiosi e criminali. Ovviamente così non è. Anzi, di fronte a una seria ipotesi di reato sarà possibile ascoltare chiunque al telefono, solo che il pm dovrà motivare in modo convincente i suoi superiori, sia per limitare le spese che per non trasformare il Paese in uno Stato di polizia dove al mattino uno si alza e decide di spiare chiunque per un tempo illimitato che poi dopo si vedrà. La cosa non detta è invece che il provvedimento è conseguente a un abuso di intercettazioni che ha prodotto una enorme quantità di danni, oltre che alle casse dello Stato, alla dignità delle persone, siano esse poi risultate colpevoli o (il più delle volte) innocenti rispetto alle accuse. Sbobinare, trascrivere, allegare ad atti giudiziari per di più ancor prima che sia stato deciso un rinvio a giudizio, fotocopiare e fare avere ai mass media telefonate che riguardano la sfera personale, sessuale o che comunque non hanno nulla a che vedere con lipotesi di reato non è cosa che ha a che fare con la giustizia, è gossip di Stato spesso usato per motivi di potere o per lotte politiche clandestine. Per avere ricordato in tv questa banale verità il sottosegretario Daniela Santanchè è in queste ore oggetto di un attacco di politici secondo i quali i dettagli anche più intimi della vita di chiunque, mafiosi compresi (ma ovviamente loro esclusi), dovrebbero avere cittadinanza giuridica e quindi mediatica. Evidentemente questi guardoni, paladini della civiltà e della legalità, sono assatanati alla sola idea di vedere e sentire come fa sesso Totò Riina.
Che una nuova legge fosse necessaria quindi non cè dubbio. Ma non si vede il motivo di coinvolgere pesantemente in questa vicenda anche giornali e giornalisti, prevedendo maxi multe e addirittura larresto per chi pubblica atti giudiziari. La responsabilità di istruire procedimenti, di trasformarli in atti di accusa e di custodirne la segretezza è unicamente della magistratura. Non si capisce perché i giornalisti non abbiano il diritto, anzi il dovere, di pubblicare tutto ciò che un potere dello Stato, quello giudiziario, ritiene rilevante e fondato. La scelta sta alla loro libera discrezione. La fuga di notizie, spesso pilotata da interessi indicibili, va bloccata e perseguita alla fonte. Il dubbio è che il governo non abbia invece il coraggio di stanare il doppio gioco dei pm, introducendo la responsabilità penale e civile anche per lunica categoria che ne è esente. Più facile minacciare di arresto i giornalisti, spaventare economicamente gli editori.
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