Yara, scontro fra toghe Bossetti resta in cella: "Feroce e pericoloso"

Il giudice non convalida il fermo della Procura. Lo sostituisce con un ordine di custodia cautelare. Il presunto killer insiste: "Io innocente"

Yara Gambirasio. Nel fotino il presunto assassino
Yara Gambirasio. Nel fotino il presunto assassino

nostro inviato a Bergamo

Niente confessione. Dopo due abboccamenti a vuoto con il pm, arriva il giorno tanto atteso: Masino Giuseppe Bossetti si presenta davanti al gip Ezia Maccora. E qui, davanti al giudice, decide di aprire la bocca, ma lo fa per negare su tutta la linea: «Quella sera, la sera del 26 novembre 2010, ero a casa. Io non c'entro con la storia di Yara. Io sono innocente. Non conoscevo Yara. Non l'ho mai incontrata, ho visto suo padre una volta dopo la sua morte e l'ho riconosciuto». Il gip prova ad entrare nel vivo degli argomenti, allunga qualche domanda come una stoccata, ma lui respinge al mittente tutti i quesiti. Gli viene chiesto del telefonino, muto, stranamente, muto dalle 17.45 di quel giorno fatidico al mattino successivo, e lui se la cava a buon mercato: «Era scarico, aveva una batteria che dura poco».

Poco, troppo poco per tirarsi fuori da questa storia terribile, sufficiente per ingaggiare un braccio di ferro con gli investigatori. Insomma, al quarto giorno, si entra in una fase nuova: muro contro muro. Con il giudice che assesta una bacchettata sulle dita al pm: non convalida il fermo, ma dispone la custodia cautelare di Bossetti. Il Dna, comunque si giri l'argomento, è al momento un ostacolo insormontabile. Il Dna, come il filo d'Arianna ha portato gli investigatori fino a Mapello, a casa del muratore. Ora provano a recintare quella scoperta con i mattoni di prove, indizi, suggestioni. «Guarda un po' la combinazione - spiega uno degli investigatori al Giornale - il Dna ci consegna, con una probabilità di errore prossima allo zero, un tizio non di Milano o Roma ma di Mapello. Uno che andava a farsi la lampada al solarium a due passi da casa di Yara due volte la settimana, uno che quella sera era dalle parti di Brembate, e forse della palestra, uno che ha confidenza con i cutter e le ferite trovate sul corpo straziato di Yara sono compatibili con la lama del cutter. Un muratore e, altra coincidenza, Yara ha respirato polvere di calce. Le coincidenze qua non si contano più». L'accusa, dopo aver pescato per via genetica il killer, ora le prova tutte per incastrarlo con gli elementi tradizionali: la Volvo Station Wagon grigia e il cassonato azzurrino sono già al Ris di Parma dove verranno smontati. Ci vorrà tempo, ma se dovesse saltare fuori anche un frammento di unghia di Yara la partita sarà chiusa. Non basta: polizia e carabinieri ribaltano l'abitazione di Bossetti, portano via tutto quello che può essere utile, spediscono in laboratorio computer e cellulari. È un accerchiamento.

Intanto, il gip Ezia Maccora impartisce la prima lezione al pm Letizia Ruggeri. Boccia il fermo, il provvedimento d'urgenza scritto per bloccare il presunto assassino: non aveva nessuna intenzione di scappare, anche perché ha una moglie e tre bambini che lo aspettano. Ma poi il gip trova gli elementi per chiuderlo in cella con un canonico ordine di custodia cautelare. Ci sono i gravi indizi di colpevolezza. Che motiva così: c'è «la gravità intrinseca del fatto, connotato da efferata violenza» e c'è il pericolo di reiterazione del reato. Non solo. Maccora dispone alcuni accertamenti. Per esempio, la comparazioni dei Dna di Giovanni Bossetti e del figlio Massimo Giuseppe. Contrariamente a quel che si credeva, il pm aveva ritenuto «superfluo» questo test e l'aveva accantonato. Probabilmente Massimo Giuseppe ha un altro padre, ma ci vorrà qualche ora per avere la controprova che l'albero genealogico dei Bossetti s'intreccia con quello dei Guerinoni.

Lui nell'interrogatorio si dice «sconvolto» da questa terribile scoperta. Non aveva mai sospettato di essere il frutto di una relazione adulterina della madre Ester Arzuffi, ma questa è ormai la sostanza.

E però, per quanto il suo difensore Silvia Gazzetti si affanni a ripetere che «ha respinto con forza le accuse ed è totalmente estraneo alle contestazioni», la sua difesa non sembra andare molto lontano. Specialmente quando afferma: «Non mi so spiegare perché il mio Dna sia stato trovato sul corpo di Yara». Non sul giubbotto, ma sulla parte interna degli slip. Dove non avrebbe mai dovuto essere.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica