Da vecchi comunisti a democratici vecchi

Peggio del centrodestra c'è solo il centrosinistra. Che in questi giorni sta offrendo uno spettacolo indecente. Nel Partito democratico si sta facendo di tutto per favorire Bersani

Da vecchi comunisti a democratici vecchi

L'abbiamo detto mille volte, ma giova ripeterlo: peggio del centrodestra c'è solo il centrosinistra. Che in questi giorni sta offrendo uno spettacolo indecente. Ci riferiamo in particolare al Partito democratico, in cui si sta facendo il diavolo a quattro per favorire la vittoria di Pier Luigi Bersani alle primarie e garantirgli così la candidatura a premier nel 2013. I dirigenti progressisti meditano addirittura di cambiare le regole del gioco a partita in corso; regole tagliate su misura per lanciare il segretario e penalizzare i suoi concorrenti, il più agguerrito dei quali, notoriamente, è il sindaco di Firenze, Matteo Renzi. Questi non piace ai vertici per vari motivi: è giovane, diverso dagli eredi del defunto Pci, gode di simpatie nelle nuove generazioni di sinistra, è gradito anche a parecchi elettori già berlusconiani e, quindi, minaccia di raccogliere più voti dell'avversario.

E ciò è considerato intollerabile dalla nomenclatura. Come osa, questo ragazzino impertinente, insidiare il capo? Bisogna metterlo in riga. In che modo? Dato che con le norme attuali egli ha dimostrato di potersi imporre, non rimane che cambiare le norme stesse, cosicché Bersani riesca a spuntarla. Il Pd, con sprezzo del ridicolo, ha approntato una serie di trucchi e si accinge ad approvare il trappolone. Non entriamo nel merito dell'imbroglio e ci limitiamo a segnalarlo: a un mese dalle primarie, che si erano sempre svolte secondo schemi rigidi nella loro semplicità, adesso le consultazioni diventano d'improvviso più complicate allo scopo di fregare il giovanotto fiorentino. Con tanti saluti ai principi democratici che, in teoria, avevano ispirato il Pd nel momento in cui importò le primarie dagli Usa con l'intento di modernizzarsi e di superare il dirigismo comunista.

Le manovre in corso nei corridoi della segreteria sono un duro colpo alle teorie evoluzioniste: i compagni, vista la malaparata, terrorizzati dall'ascesa di Renzi, hanno innestato la retromarcia e tornano, sia pure sotto mentite spoglie, a essere i trinariciuti che erano e sono sempre stati. Non tengono vergogna. Né si accorgono che, adottando certi metodi, rischiano di spaccare il partito in due fazioni (pronte alla scissione): bersaniani e renziani. Nell'eventualità, assai probabile, addio sogni di gloria: la prossima primavera, dalle urne, uscirebbe un risultato pessimo, cioè una sinistra in tocchi, litigiosa, incapace di costituire una maggioranza idonea a esprimere un governo duraturo.

E allora? Il quadro politico, fra sei mesi, sarà ancora più frammentario di oggi; nessuno dei due schieramenti sarà attrezzato per guidare il Paese e fatalmente si riproporrà l'esigenza di affidare il timone a un tecnico (Mario Monti o uno come lui, ma sarà lui), sostenuto da un'ammucchiata simile a quella attuale, poco apprezzata da Bersani e soci, ma auspicata e promossa da Pier Ferdinando Casini, Luca Cordero di Montezemolo e Gianfranco Fini.

La politica, come ben sanno i cittadini che non la sopportano più, ha una grave malattia: marasma senile.

La prognosi è infausta. La legislatura ventura si annuncia ancora più incasinata della presente. Se il Pdl fosse più lucido, avrebbe l'opportunità di rizzarsi in piedi. Non perché sia forte, ma perché il Pd è ancora più debole.

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