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L'Italia si riprende i marò. Era ora

Dopo tanti schiaffi subiti senza reagire, finalmente il nostro Paese alza la voce e ripristina il diritto. La storia dei marò in un ebook

L'Italia si riprende i marò. Era ora

«I marò non torneranno in India, restano in Italia». Finalmente il governo ha preso il toro per le corna. Ma quante volte, durante questa lunga e sgradevole vicenda, avremmo voluto sentire un'espressione forte e decisa uscire dalla bocca di un membro del nostro esecutivo. In questi tredici mesi l'Italia ha ingoiato rospi indigeribili, dagli sgarbi diplomatici ai colpi bassi giudiziari fino all'umiliante prigionia dei nostri militari, eppure né il premier Monti né il ministro degli Esteri Terzi hanno mai avuto il coraggio di alzare la voce con l'India. Oggi l'hanno fatto, ne prendiamo atto. E siamo felici di questa decisione, che non solo mette fine all'odissea dei marò e delle loro famiglie, ma ci fa riconquistare almeno un po' di quella dignità che era andata totalmente perduta.

È stato un anno orribile per i due fucilieri del San Marco, incriminati per omicidio in barba al diritto internazionale. Il 15 febbraio 2012, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sparano per difendere la nave italiana Enrica Lexie convinti di dover fronteggiare la minaccia di pirati. Due pescatori muoiono. Sfortuna vuole che la buona fede degli italiani e la malizia degli indiani aprano una crisi senza precedenti tra i due Paesi. I nostri militari diventano gli inconsapevoli protagonisti di una guerra politica tutta interna all'India, anzi, allo Stato indiano del Kerala, che sta andando alle urne. Così il governicchio locale architetta una campagna senza scrupoli contro gli italiani, anche in funzione anti Sonia Gandhi (definita con spregio «l'italiana»), leader del partito che guida il governo federale. Il tribunale locale affronta l'inchiesta in modo ambiguo, per non dire parziale: impedisce l'autopsia sui cadaveri dei due pescatori, non permette a periti della difesa di partecipare all'esame balistico e imprigiona Latorre e Girone.

Ma soprattutto ignora i tracciati del satellitare che riportano con chiarezza la posizione della nave: 20,5 miglia dalla costa, quindi non in acque territoriali ma contigue, dove l'India ha voce in capitolo solo in ambito doganale e d'immigrazione. A questo si aggiunge che i due marò partecipano a una missione internazionale contro la pirateria e quindi godono dell'immunità funzionale degli organi dello Stato. Aria fritta per un Paese dove la democrazia e la giustizia sembrano un optional e piegare un'inchiesta giudiziaria ai fini della politica è cosa facile. Insomma, il tribunale del Kerala non prende in considerazione neppure le più elementari norme del diritto. E l'Italia? Il governo sceglie il basso profilo, lasciando che l'India si faccia beffe di noi e della giustizia. Anzi, da Palazzo Chigi alla Farnesina, è tutto un fiorire di rimproveri alla stampa, che secondo loro sta alimentando un clamore mediatico inopportuno. Per fortuna che il nostro giornale se ne infischia e continua, quasi in solitaria, la sua campagna per riportare a casa i marò.

L'odissea dei nostri militari prosegue tra carcere, aule giudiziarie e soggiorno obbligato fino ad arrivare alla Corte Suprema di New Delhi. Qui, dopo undici mesi, i giudici ammettono che la nave non era in acque territoriali indiane, ma decidono che i due fucilieri del San Marco debbano essere comunque processati in India da un tribunale speciale. L'ennesimo schiaffo. D'altra parte, la posizione indiana comincia ad ammorbidirsi: New Delhi è consapevole di avere in mano un cerino acceso ma allo stesso tempo non intende perdere la faccia con una retromarcia.

Arriva, per fortuna, il colpo di reni del governo italiano, che riscopre un po' d'orgoglio, toglie una patata bollente al prossimo inquilino di Palazzo Chigi e si tiene stretti i propri militari come deve fare uno Stato che si rispetti. Sarebbe stato inaccettabile che una nazione, tanto forte da chiedere ai suoi soldati di rischiare la vita in missioni lontane, poi li abbandoni di fronte alle prepotenze del primo bullo della periferia asiatica.

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