Cronache

Un nome che fa storia

Quando Jorge Mario Bergoglio è diventato il nuovo successore di Pietro, tutti si sono domandati: perché nessu­no ci aveva pensato prima, a chiamarsi Francesco?

Un nome che fa storia

La mente di tutti (laici compresi) è vola­ta immediatamente a lui, al Poverello d’Assisi, a San Francesco. Il santo del­l’umiltà e dell’uguaglianza, che rinnegò una vita dissoluta e spendacciona per dedicarsi alla Parola del Signore. Il san­to in qualche misura più «eretico» nella sua intransigenza e nella sua ecumenici­tà. Così ieri sera, quando Jorge Mario Bergoglio, argentino con cognome ita­liano ( italiano come San Francesco...) è diventato il nuovo successore di Pietro, tutti si sono domandati: perché nessu­no ci aveva pensato prima, a chiamarsi Francesco? Forse perché nessuno ha vo­luto confrontarsi con un nome così «pe­sante » e «impegnativo». Quello del san­to che mette d’accordo tutti, il diavolo e l’acqua santa, il laicismo e la fede.Ovve­ro, l’umanità senza distinzioni di sorta.

Semplice, imperiosa, vera. È la fumata abbagliante contro il cielo scuro di Roma. Dalla loggia centrale s'irraggiano le risposte a tutte le nostre domande. Abbiamo il volto, abbiamo la storia, abbiamo il nome dell'uomo che fa sua l'eredità del pescatore. Gaudum magnum. È Jorge Mario Bergoglio, argentino, dal nuovo mondo, dai confini della terra. Da questo momento, è anch'egli radicalmente nuovo. Si è imposto il nome di Francesco, l'uomo del saio, il patrono d'Italia. È una novità eccezionale, assoluta, il segno della nuda, autentica potenza evangelica, del primato di povertà e umiltà, della fede del popolo. La rosa dei nomi papali si arricchisce dello splendido petalo, del santo di Assisi. Ecco brevi note sui nomi di chi ha preceduto papa Francesco.
Il più frequente: Giovanni. «Yahvè ha fatto la grazia», è uno dei due soli nomi di origine ebraica, neotestamentaria, con riferimento al profeta, Giovanni Battista, e all'apostolo omonimo (l'altro nome ebraico è Zaccaria, santo e papa dal 741, in onore del padre del Battista, San Zaccaria). Angelo Giuseppe Roncalli, il «papa buono», scelse quel nome, con la sigla XXIII (anche se i «Giovanni» autentici furono solo 21), come sommario della vita e della missione. Il nome si riallacciava alla sfera più privata e affettiva: suo padre si chiamava Giovanni Battista, come il santo cui era consacrata la chiesa parrocchiale della nativa Sotto il Monte. In termini pontificali, era una proposta creativa, spia del carattere: non c'era più stato un Giovanni dal 1316, dal francese Jacques Duèse, XXII della lista. Altro che un Roncalli accomodante papa «di transizione», come azzardò qualche analista.
Il nome unicum. Il primo, l'inimitabile, è quello del pescatore: «Tu sei Pietro, e su questa pietra costruirò la mia chiesa». È fuori scala. Resterà unicum per sempre. Nel catalogo, però, si contano altri 43 isolati, da san Lino da Volterra, il primo successore, un convertito della cerchia di Paolo di Tarso, a Lando (o Landone), una meteora dell'anno 914, notevole perché il suo, che era il nome personale, è l'unico appellativo di radice germanica (benché lui fosse italianissimo) e perché fu l'ultimo papa (imitato, nel 1978, da Giovanni Paolo I) a non orientarsi sul nome di un predecessore. Nell'elenco leggiamo nomi greci (Anacleto, Evaristo, Telesforo, Igino, Sotero, Antero, Eutichiano, Zosimo, Simmaco, Ilario, Dionisio) e romani (Fabiano, Cornelio, Caio, Marcellino, Sabiniano, Dono, Costantino, Valentino, Romano).
Il nome doppio. Quo nomine vis vocari? «Con quale nome (singolare) vuoi essere chiamato?». La risposta di Albino Luciani alla domanda rituale non soltanto infranse le regole grammaticali. Mandò in pezzi la tradizione. Giovanni Paolo era un nome plurale, il primo della storia. Pericle Felici, il protodiacono che annunciò l'elezione, fece un altro strappo: aggiunse «primo». Non era protocollare che un nome inedito fosse qualificato con quell'aggettivo, se non a posteriori, dopo che un secondo pontefice l'avesse scelto, come accadde con il repentino successore, Giovanni Paolo II. Ma quel «primo» non era un accessorio ordinale. Integrava il nome, segnava lo slancio a quel rinnovamento che non ebbe il tempo di esplodere. Era un segnale. Onorava chi l'aveva fatto vescovo (Roncalli) e cardinale (Montini), gli artefici del Vaticano II, la linea-guida del «Sorriso di Dio».
Il nome scartato. Nel 983, fu papa Canepova da Pavia. A quel tempo il cambio del nome era un optional. Ma il neoeletto dovette scartare il suo: Pietro. Si nominò Giovanni XIV. In imbarazzo si trovarono, verso la fine dell'anno mille, i prescelti germanici o francesi, con nomi come Bruno o Gerbert, estranei alla tradizione classica. Optarono per Gregorio V e Silvestro II, richiami a Gregorio Magno e al papa che aveva dato manforte all'imperatore Costantino nel costruire il primato cristiano.
La sequenza dei Sisto si blocca a Felice Peretti, Sisto V nel 1585. Un eventuale Sisto VI sarebbe di faticosa pronuncia. Papi di temperamento scelsero nomi che, con il loro proprio, mostravano scarto minimo. Giuliano della Rovere divenne Giulio II nel 1503, in memoria dei fasti di Cesare. Enea Silvio Piccolomini, principe delle lettere rinascimentali, strizzò il suo gentilizio in Pio II nel 1458, per sprezzatura e per classicistica eco del pius Enea, l'eroe virgiliano. Riaprì una serie di Pio che, tra il 1774 e il 1958 (morte di Pacelli, Pio XII), con 7 papi su 11, è la frequenza più alta sul periodo lungo, seguita dai 7 Giovanni su 15 pontefici tra il 955 e il 1033.
Il nome programma.

Quello dell'emerito Ratzinger è lampante: si rifà a San Benedetto, alla sua regola, e al genovese Giacomo della Chiesa, Benedetto XV, che perorò la pace tra i popoli durante la prima guerra mondiale.

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