Tutte le volpi alla fine si rivedono in pellicceria, dice un vecchio proverbio sui furbi. È quello che è capitato ad Antonio Ingroia. Prima pensava di fare politica coperto dalla scudo di una toga appartenuta a Borsellino, poi di applicare la giustizia con l'immunità del politico (si era candidato premier alla guida della lista Rivoluzione civile). Ha toppato sia il primo obiettivo sia il secondo. Voleva mandare al gabbio Berlusconi e Napolitano e restaurare il comunismo, si ritrova disoccupato, screditato e abbandonato dai compagni di avventura.
Come tutti i furbi, Ingroia al momento di candidarsi non si era dimesso. No, si era messo in aspettativa e - una volta sconfitto dalle urne - chiese di rientrare nei ranghi. Bene, gli hanno detto i colleghi, la tua nuova sede è Aosta. Umiliante - senza offesa agli amici aostani - per uno che voleva sconfiggere la mafia e arrestare lo Stato. Pur di non finire a indagare sui furti di mucche, il nostro eroe ha chiesto di poter rimanere in aspettativa per fare l'esattore delle tasse in Sicilia. Cosa triste, ma almeno sarebbe girato l'euro. La risposta del Csm è arrivata ieri: non se ne parla neppure, o Aosta o dimissioni. Caro Ingroia, se ne faccia una ragione: la ricreazione è finita, i riflettori si sono spenti e ora, in ogni caso, per campare le toccherà andare a lavorare.
E lo diciamo anche a Gianfranco Fini che non molla gli uffici di una fantomatica Fondazione Camera dei deputati. Se non vuole fare il pensionato ai giardinetti, che si trovi una occupazione e si paghi scrivanie e segretarie. Credetemi, è dura ma ce la potete fare. Milioni di italiani ci riescono ogni santo giorno.
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