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Quanti sgambetti nel governo degli inganni

Se nell'esecutivo Pd e Pdl non si fidano l'uno dell'altro non è solo per naturale diffidenza da avversari storici, ma perché ogni tanto trovi qualcuno che distrattamente improvvisa una gomitata malandrina

Questo sta diventando sempre più il governo dell'inganno. È un governo dove Pd e Pdl non si fidano l'uno dell'altro e non solo per naturale diffidenza da avversari storici, ma perché ogni tanto trovi qualcuno che distrattamente o meno improvvisa uno sgambetto, una gomitata malandrina o butta un petardo sotto la sedia di Enrico Letta, ormai votato alla democristiana pazienza. Ecco che in un tranquillo giovedì senza tante pretese Luigi Zanda, presidente dei senatori del Pd, non ha altro da fare che tirare in ballo l'ineleggibilità di Berlusconi. «Secondo la legge italiana Silvio Berlusconi, in quanto concessionario, non è eleggibile. Ed è ridicolo che l'ineleggibilità colpisca Confalonieri e non lui». Zanda faceva prima a dire che vuole boicottare il governo e prepararsi per le prossime elezioni. A meno che nelle stanze del Senato il Pd non stia sottotraccia lavorando per un ribaltone, con l'idea di portare i Cinquestelle a Palazzo Chigi, ammesso che Grillo se la senta di abbandonare la comoda opposizione senza responsabilità che serve a mascherare l'inesperienza dei suoi parlamentari.

Nel Pd, d'altra parte, hanno vissuto come un mezzo tradimento la scelta del Pdl di mettere sul tavolo della maggioranza la legge sulle intercettazioni. Non era in programma. È difficile da digerire e pazienza se in un Paese normale gli atti delle inchieste non finiscono subito sui giornali e non vengono usate come arma contro gli avversari politici. Letta e i suoi ministri sanno che prima o poi bisognerà in Italia affrontare la questione giustizia. Solo che questo governo non ha ancora la forza per gestire un tema così delicato. Nello stesso tempo, però, i magistrati non fanno nulla per nascondere le proprie simpatie e fanno aumentare i dubbi su una giustizia colorata.

La storia di Luigi Giuseppe Villani, ex capogruppo regionale del Pdl in Emilia e vicepresidente del consiglio comunale di Parma, da questo punto di vista fa riflettere. Villani è finito nell'inchiesta Public Money che riguarda la campagna elettorale del 2007. È l'unico dei tanti imputati che si trova agli arresti domiciliari in attesa del processo. Il tribunale che doveva cancellare il provvedimento dice ancora una volta no. Ma quello che conta è la motivazione. Sussiste il concreto pericolo di reiterazione criminosa, evidenziato dal gip e dal pm, anche per i suoi «...agganci politici e i rapporti con alcuni esponenti di spicco del Pdl e della Lega...». Una coalizione politica che rappresenta dieci milioni di elettori trattata, nero su bianco, come una comunità di malfattori. Le parole pesano, soprattutto se arrivano da un magistrato. Pensate se una frase del genere avesse coinvolto il Pd, magari nel caso Penati o in quello Monte Paschi. Lì la giustizia va lenta e parla con cautela.

È chiaro che in questa situazione è difficile fidarsi. Il Pd deve accontentare gli integralisti antiberlusconiani e rumorosi, che ogni giorno gli rimproverano l'alleanza contro natura. Non hanno, però, neppure il coraggio di andare alle elezioni perché temono il collasso.

E così stanno al governo con il mal di pancia e borbottano e boicottano. Il risultato è un governo che campa sul sospetto. Il miracolo è che, nonostante tutto, continua a navigare. Anche se Letta e Alfano per confondere cecchini e amici mettono in scena la finta litigata.

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