Milano - La decisione, domani, spetta a loro: ai cinque giudici della sezione Feriale della Cassazione cui è toccato - su pressione della magistratura milanese, allarmata dal rischio prescrizione - prendersi la gatta da pelare del processo a Silvio Berlusconi per i diritti tv. Decideranno in autonomia, facendosi la loro idea: ma, inevitabilmente, anche tenendo conto di ciò che altri giudici della Cassazione hanno deciso prima di loro, affrontando - nel mare magnum dei guai giudiziari del Cavaliere - vicende collegate a questa.
Il problema è che tutte le sentenze dovrebbero avere lo stesso peso. E invece, nel ricorso in Cassazione steso da Niccolò Ghedini e Franco Coppi si racconta come per i pm e i giudici milanesi si debba tenere conto delle sentenze che fanno comodo o all'accusa: anche se riguardano processi in cui Berlusconi non era imputato, e quindi non ha avuto modo alcuno di dire la sua. Mentre le sentenze che hanno sconfessato le tesi della Procura vengono liquidate come irrilevanti.
Per confermare la condanna di Berlusconi a quattro anni di carcere, la Corte d'appello milanese ha dato per accertato una cosa: che a partire dagli anni Ottanta il gruppo del Biscione abbia creato e utilizzato una rete di società offshore dove affluivano fondi neri da utilizzare per i fini più disparati, leciti e illeciti. Questa certezza la sentenza la trae da un'altra sentenza: quella a carico di David Mills, l'avvocato inglese accusato di avere dapprima organizzato la rete, e di essersi fatto poi corrompere da Berlusconi per tenerla nascosta alla giustizia. Anzi, il processo diritti tv sarebbe la parte mancante del processo Mills, perché rivelerebbe come venivano alimentati i conti esteri. Sull'utilizzo di questa sentenza i legali avanzano una serie di dubbi: alcuni più da tecnici, come quando sottolineano che Mills alla fine è stato dichiarato prescritto, o che la sentenza non è mai stata formalmente acquisita nel processo. Ma c'è una obiezione più comprensibile all'uomo della strada: e cioè che in quel processo Berlusconi non era imputato, non ha potuto difendersi e dire la sua. La sua posizione era stata separata, e quando è stato processato è stato prosciolto in appello: ma con una sentenza secondo cui, se il reato non fosse stato inghiottito dal tempo, l'avrebbero assolto. E dunque come è possibile che si ritenga provato il fosco retroscena delle offshore? Si tratta, protestano Ghedini e Longo, di «altra fattispecie di reato, addebitata a persona diversa dalla ricorrente, sulla quale quest'ultima non è stata posta in condizione di interloquire al fine di esercitare il previsto diritto alla prova contraria».
Invece si ignorano quasi del tutto le sentenze della Cassazione che per due volte hanno assolto Berlusconi da accuse identiche a quelle del processo diritti tv: ma sono sentenze per la Corte d'appello «che attengono a diversi periodi di tempo e a distinti quadri probatori».
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