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Così le toghe della Cassazione giocano col futuro del Paese

Se Berlusconi sarà (ingiustamente) condannato pronte le dimissioni dei 200 parlamentari Pdl. Trema anche il Pd: partito e governo non reggerebbero l'urto

Così le toghe della Cassazione giocano col futuro del Paese

Tutto dipende dal finale. La Cassazione, qui, domani, ha in mano il destino e il futuro di questo Paese. Non è in ballo solo una sentenza. Non c'è solo Berlusconi. Un'uscita di scena traumatica del Cavaliere mette in moto forze imprevedibili, che renderanno ancora più instabile il sistema politico. C'è tanta gente che spera di vederlo umiliato, dietro le sbarre, distrutto, cancellato. Dicono che solo così l'Italia cancellerà ogni male e si butterà alle spalle le sue paure e i suoi guai. Si illudono. L'unica cosa che otterranno è la vendetta, per un personaggio che non hanno mai amato, sfogando in questo modo le loro frustrazioni. Il resto sarà caos, con una cicatrice profonda, con frammentazioni e guerre fratricide all'interno di ogni partito, rese dei conti, con piccoli leader che a destra e sinistra cercheranno in ogni modo di soddisfare le proprie ambizioni personali e un vuoto che renderà ancora più spaesati gli elettori. Non ci sarà l'equilibrio, ma una serie di sciami sismici, con la possibilità per i partiti antisistema di inserirsi e puntare al disfacimento.

La crisi italiana non è solo economica. È una crisi di riforme non fatte, di problemi che si sono incancreniti, di partiti che hanno perso la loro identità. Non ci sono progetti, perché la politica ha delegato ai tecnici, alla burocrazia e all'Europa la costruzione di un futuro. Un'uscita di scena di Berlusconi morbida, concordata, avrebbe permesso forse davvero al Paese di aprire una grande stagione di riforme. Le larghe intese non sarebbero state solo un governo balneare, buono per tirare a campare. Ma qualcosa di più alto, concreto, con lo sguardo rivolto in avanti. Una transizione senza odio, senza traumi, senza vendette, senza ossessioni. È quello che accade nei Paesi dove la politica ha ancora un ruolo, e non viene scandita e influenzata dalla giustizia o dai ricatti di Bruxelles. Noi invece preferiamo chiudere le stagioni politiche con lo sfregio, con la demonizzazione del capro espiatorio.

Berlusconi vede lontano quando dice che non sarà il Pdl a far cadere il governo Letta. Lo scossone arriverà da sinistra, perché li sono in tanti quelli che scalpitano, quelli che lavorano ai fianchi il premier, e aspettano solo la sentenza per aprire le danze del potere. Renzi non fa nulla per nasconderlo. I suoi uomini sono stati allertati e vogliono chiudere i giochi con l'avversario generazionale e il partito da rottamare. Sarà una battaglia su due fronti, che il sindaco di Firenze è sicuro di vincere contando proprio sugli elettori orfani del Cavaliere. Ma sarà una battaglia lunga, con due figli della Democrazia cristiana, più o meno della stessa età, che combatteranno fino all'ultimo sangue, perché è chiaro che uno dei due sarà di troppo. Questo non solo macellerà il Pd, con la sinistra più nostalgica e vendoliana a fare da ago della bilancia, ma getterà l'Italia in una sfiancante guerra di trincea. Grillo getterà benzina sul fuoco, giocando ancora di più sul populismo, con gente sempre più arrabbiata e sempre più illusa, che non avrà neppure più Berlusconi da maledire.

Il Pdl dovrà fare un lungo viaggio nel deserto, con gli eredi pronti a scannarsi per brandelli di voti, con la paura di scomparire, determinati solo a restare aggrappati alla loro poltrona a qualsiasi costo. Gli imprenditori, chi lavora, chi pensa che l'Italia possa ritrovare aria e forza solo abbandonando le politiche di austerità, perderanno ogni punto di riferimento. Non è gente che ama le rivolte e le piazze, ma questa volta si sentirà con le spalle al muro, senza prospettive e disposta a combattere per la propria sopravvivenza.
No, da certi traumi non si esce con la pace. Non sarà la fine di Berlusconi l'inizio di un Paese normale. Lui, il Cavaliere, ha già detto che in caso di condanna non scapperà all'estero, nessun esilio. Non ha voglia neppure di essere rieducato o vivere la sua prigione a casa. A 77 anni potrebbe di nuovo sfidare tutti scegliendo il carcere. Non è un uomo che si arrende. Dal suo punto di vista i processi sono frutto di una strategia ben precisa per liberarsi di un avversario politico scomodo. Il carcere, nelle sue intenzioni, è un modo per continuare a combattere per la libertà e la democrazia. È convinto che alla fine la Cassazione non potrà non assolverlo. È il suo ultimo atto di fiducia nella giustizia. È la speranza di essersi sbagliato. Siamo al bivio, e spetterà ai giudici scegliere il futuro politico, economico e sociale degli italiani.

Ma potranno dei magistrati condannare a morte la procura di Milano per salvare Berlusconi? Forse il problema di tutta questa storia è proprio questo.

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